“Aspirin Sun”: intervista a Emma Tricca
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La cantautrice Emma Tricca ha presentato il nuovo album – uscito proprio oggi per l’etichetta inglese Bella Union: tra le date italiane del suo tour arriverà anche a Roma sul palco dell’Angelo Mai mercoledì 12 aprile, portando le atmosfere magnetiche delle sue sonorità folk.
“Mi sembrava di guidare in un tunnel”, dice Emma del suo quarto album. Un panorama fosforescente di colori, forme e suoni ondulati. Come in ogni trasformazione, è questo senso di movimento che sta alla base di Aspirin Sun e della sua nuova e audace forma, che si muove e fluisce, dispiegandosi continuamente. I tunnel hanno condotto la cantautrice di origine italiana e residente a Londra verso qualcosa di più ampio e profondo: una raccolta di canzoni completamente nuova e sperimentale. Ma l’hanno anche avvicinata al suo defunto padre e ai suoi ricordi di quando, con una piccola fiat bianca, sfrecciavano attraverso le Alpi e in passaggi bui, in cui i fasci di luce sfavillavano davanti a loro in lontananza. Luci e ombre, passato e futuro, amore e perdita. “Ero in un territorio inesplorato e cercavo di capire cosa mi stesse succedendo”, racconta Tricca. Nell’inverno del 2018, pochi mesi dopo l’uscita del suo terzo album St. Peter, suo padre è morto. “Credo che la perdita abbia influenzato molto i brani”, riflette l’artista. E i brani sono emersi rapidamente. Tricca ha deciso di trascorrere alcuni mesi a New York durante l’estate del 2019 e ha iniziato a registrare Aspirin Sun nello studio del suo collaboratore di lunga data Steve Shelley, batterista della leggendaria band newyorkese Sonic Youth. “Avete presente quando il sole è nel cielo ed è così rotondo da sembrare un’aspirina? Questo disco rappresenta molto bene quel tipo di cielo”, dice Tricca. Rappresenta anche la natura disorientante del dolore, sovraesposto come una palla di gas e luce ardente. “Stavo trovando ciecamente la strada attraverso il mio dolore con la musica e i sogni che scrivevo al mattino. E li mettevo insieme in modo insensato perché non avevano alcun senso”. Questo nuovo orizzonte psichedelico poteva essere pienamente realizzato solo da una band che lei considera famiglia. Gli stessi musicisti con cui ha collaborato per la sua uscita del 2018, St. Peter: Steve Shelley dei Sonic Youth, il chitarrista dei Dream Syndicate Jason Victor e il bassista Pete Galub. Tutti e tre i musicisti hanno apportato qualcosa di unico al disco. “Pete proviene da un background di songwriting più tradizionale, Steve e Jason sono più sperimentali e poi ci sono io, che sono una via di mezzo. Per me è stata una magia”.
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