30 anni senza Kurt Cobain
Sono passati esattamente trent’anni (era il 5 aprile 1994) da quando Kurt Cobain si tolse la vita sparandosi con un fucile alla testa.
Il suo corpo venne ritrovato 3 giorni dopo grazie a un elettricista, Gary Smith, che stava lavorando nella villa di fronte a quella del frontman dei Nirvana e che immediatamente avvisò la polizia di Seattle.
Lo stesso giorno, ma di qualche anno più tardi (era il 2002), anche Layne Stayle (Alice in Chains, Mad Seasons) morì, ma a causa di un’overdose di speedball.
Il suo corpo venne trovato in avanzato stato di decomposizione nel suo appartamento di Seattle due settimane più tardi.
Il 5 aprile è il giorno in cui il grunge è morto.
Per i 30 anni dalla scomparsa di Kurt Cobain, la rivista Rumore gli ha dedicato un numero speciale.
Riporto un estratto:
- Kurt Cobain. Voce, chitarra, volto e principale autore dei Nirvana, uno dei gruppi “moderni” che meno ci hanno impiegato a entrare nella storia del rock. Il suicidio dell’aprile ’94 è stato uno spartiacque generazionale. Ormai è cosa nota. C’è un prima, con la scena di Seattle montante e il successo major di massa che un po’ alla volta baciava tutti gli appartenenti. E un dopo: la grande risacca, la deriva del (presunto) fallimento personale. Anni dopo arriverà il decesso di Layne Staley degli Alice In Chains. E poi quello di Chris Cornell dei Soundgarden. Tutti suicidi dolorosi (a cui andrebbe aggiunta la recente morte enigmatica di Mark Lanegan, già negli Screaming Trees), ma nessuno ha frustato l’immaginario quanto quello di Kurt Cobain. Ancora oggi una delle copertine più fragorose della storia di Rumore resta proprio quella successiva al decesso di Kurt. Uno dei pochi autori che nel suo percorso da indipendente a classico, viene scoperto e ascoltato dalle nuove generazioni come fosse un emissario del panteon dei John Lennon. Aprile 94/aprile 2024, sono passati 30 anni tondi da quella morte. Nei primi anni di questo giornale, Cobain è stato uno dei fari per la direzione editoriale del mensile. Normale quindi che quanto accaduto abbia colpito all’epoca i collaboratori come i lettori. Normale quindi tornarci oggi, a 30 anni di distanza, con una lunga inchiesta su ciò che Kurt ha rappresentato e ancora rappresenta. Parlano Dave Grohl, il regista Dave Markey e il manager Danny Goldberg, scrivono Andrea Valentini, Nicholas David Altea e Francesco Vignani. Mentre Francesco Farabegoli mette in prospettiva questa parabola artistica e di vita. Che oggi come ieri abbiamo deciso di celebrare come merita. Kurt Cobain, ritratto dal grande Steve Gullick: dal suo volto angelico sprofondato tra una poltrona e una chitarra parte la copertina di Rumore 387, aprile 2024. [Fonte: https://rumoremag.com/…/kurt-cobain-30-anni-morte…/…]
Della morte di Kurt Cobain così ne scrisse all’epoca Ernesto Assante per Repubblica:
- Non si può morire a ventisette anni. Ma per Kurt Cobain, leader dei Nirvana, l’età non faceva certamente differenza: «Non mi interessa sapere quanti anni ho, se la vita che faccio non mi piace» , aveva dichiarato ai giornali inglesi poche settimane fa, durante il tour europeo. Ed è curioso pensare che per un giovane di ventisette anni, diventato una delle più grandi stelle del rock in breve tempo, la vita non fosse quella che lui voleva. Ma non conta se si è una rockstar, se il successo porta sulle prime pagine dei giornali: il malessere interiore di Cobain, il dolore e il dramma con il quale la sua vita si è bruscamente conclusa, lasciano poco spazio alla retorica sul rock “maledetto”, sulla vita di eccessi e di droga.
Fonte immagine in evidenza: https://www.flickr.com/photos/187661405@N02/49750208577
Pubblicato il: 05/04/2024 da Skatèna