Intervista a Milo Aukerman, Descendents | Rocktrotter
Descendents
Eleonora Tagliafico di Rocktrotter ha intervistato Milo Aukerman, cantante dei Descendents in occasione della data della band al Bay Fest di Bellaria Igea Marina, il 15 giugno 2024.
SCALETTA
Descendents – Hope
INTERVISTA
Descendents – Subhurban Home
INTERVISTA
Descendents – Nightage
Salve Milo, è un vero piacere averti qui e di nuovo in Europa, soprattutto dopo l’improvviso stop dello scorso anno, stai bene adesso?
Sì, sto bene, è stato un lieve infarto e mi hanno messo uno stent e ho fatto alcune cose per aumentare la mia forza, fondamentalmente, e la mia forma fisica.
Mi sento abbastanza bene. Non abbiamo dovuto fermare troppo il nostro tour. Ci siamo tornati subito. Ovviamente abbiamo dovuto cancellare le tappe europee, ma quest’anno ci rifaremo. Torneremo in Europa per un bel po’, quindi va tutto bene.
Perfetto. Quindi i Descendents suoneranno qui in Italia al Bayfest il 15 giugno. Ci sono anticipazioni che vorresti condividere con noi sullo show?
No, sono solo davvero entusiasta di vedere quella zona. Non sono mai stato da quel lato dell’Italia e, sembra una zona bellissima. Voglio dire, mi piacerebbe, immergere le dita dei piedi nell’acqua e vederlo. Quello laggiù è il mare Adriatico?
Si, si. Siamo sulla spiaggia.
Vedrò il mare Adriatico, che è molto emozionante. Suoniamo sempre a Milano e mi piacerebbe vedere alcune zone diverse dell’Italia. E quindi questa è una grande opportunità per farlo.
9th and Walnut è il vostro ultimo album in studio, ma contiene brani scritti tra il 1977- 1980. Come è stato il tuo approccio a quelle canzoni?
Beh, molto entusiasmo perché alcune di quelle canzoni che avevo suonato con la band nel 1980, proprio quando mi sono unito a loro, circa la metà, le avevamo già fatte.
Il perché non le abbiamo mai registrate allora, non lo so, ma il fatto che ora abbiamo avuto l’opportunità di registrare finalmente queste canzoni, mi ha riportato alla mente molti bei ricordi di quando ho iniziato per la prima volta, mi unì alla band e imparai molte di queste canzoni.
E quindi è stato emozionante rivisitare quel periodo della mia vita.
La cosa bella è che il motivo per cui mi sono unito ai Descendents è che amavo tutte quelle prime canzoni. E quindi poterle mettere giù è stato molto bello e divertente. Poi l’altra metà delle canzoni non l’avevo neanche mai sentita prima. Erano canzoni che risalivano a prima che fossi nella band, e anche questo è stato divertente, perché il solo rendermi conto che stavamo portando alla luce queste canzoni che, per me, erano nuove di zecca, e potevo dar loro, sai, la mia versione o altro.
Ma sì, mi ha anche fatto apprezzare davvero quanto fossero grandi, autori come Frank Navetta e Tony Lombardo, prima ancora che io mi unissi avevano già scritto un sacco di grandi canzoni.
E quindi è stata, una cosa divertente da rivisitare. Frank non è più con noi. È morto molti anni fa. Ma solo apprezzare di più quanto fosse grande come autore, di sicuro è stato divertente.
È possibile secondo te fare un paragone tra Milo Goes to College e 9th and Walnut?
Prima di “Milo Goes to College” abbiamo pubblicato il “Fat EP”, e prima del “Fat EP”, prima ancora che mi unissi, avevano pubblicato questo singolo chiamato “Ride the Wild”.
Guardando all’evoluzione della band in quel periodo, hanno iniziato come una specie di band surf influenzata dagli anni ’60, sai, con canzoni che suonavano quasi in stile Beatles o surf, il surf pop di “Ride the Wild”.
Ma poi abbiamo realizzato il “Fat EP” ed era davvero fuori dal comune. Era davvero estremamente aggressivo e veloce. E quindi penso che le canzoni di “9th e Walnut” colmino il divario tra quello che è successo con “Ride the Wild” e quello che è successo con “Milo Goes to College”.
Ma, sai, ciascuno dei dischi influenza gli altri a venire. Penso che è come se “9th e Walnut” si collocasse abbastanza bene tra “Ride the Wild” e “Milo Goes to College” perché ci sono tutte quelle influenze degli anni ’60.
E ci sono un paio di canzoni in “Milo Goes to College” che risalgono allo stesso periodo da cui provengono quelle di “9th e Walnut”. Canzoni come “Statue of Liberty”, per esempio. Sai, puoi sentire l’influenza di Frank Navetta su “Statue of Liberty”.
Questo è il tipo di connessione tra loro.
“Subhurban home” è un riflesso di quei tempi. Allora com’era la scena punk in quegli anni, soprattutto in California, ma anche negli USA, ovviamente?
Sì, voglio dire, il clima stava diventando sempre più politico, e stava diventando sempre più irreggimentato come l’hardcore.
Quello che stavamo facendo in quel periodo era cercare di realizzare due cose: uno era suonare il più velocemente possibile. Volevamo suonare veloce. E così abbiamo bevuto un sacco di caffè, ma volevamo anche iniettare quanta più melodia e influenze alla Beatles potevamo; in un certo senso ottenere quel pop, quegli elementi melodici pop.
E quindi questo ci ha fatto risaltare. Non ci adattavamo davvero alla scena perché non facevamo musica simile a quella che facevano gli altri. La cosa aveva i suoi punti positivi e quelli negativi. Non suonando come tutti gli altri, significava che forse non eri così popolare, perché la gente ti chiedeva: “Di cosa si tratta?”. Ma immagino che, a lungo termine, probabilmente abbia significato che siamo stati in grado di creare la nostra piccola unicità da quel periodo e suonando così diversi.
Mi piace tutto il punk rock di quel periodo. Quindi non voglio cestinare niente, perché è ciò che mi ha davvero ispirato a unirmi alla band è tutto il punk rock di Los Angeles di quel periodo, ma facevamo davvero qualcosa di completamente diverso da tutto questo.
45 anni fa, i Dead Kennedys pubblicavano il loro singolo di debutto “California Uber Alles”, “Milo goes to college” ha compiuto 42 anni quest’anno. Allora, com’ è che il punk hardcore è ancora qui?
Quali sono i motivi?
Voglio dire, penso che sia l’unico genere musicale in cui ti sospendi. E sospendi la tua età e semplicemente, è tutto concentrato, è gioventù pura e concentrata, fondamentalmente.
E così ascoltandolo sento immediatamente quell’aggressività ed energia giovanile. È così intriso di questo, che penso che non abbia importanza: nel corso dei decenni, ci saranno sempre giovani che proveranno la stessa quantità di, non so, aggressività, ostilità verso l’autorità e semplicemente come se volessero sentire qualcosa che catturi quell’aggressività giovanile.
Ed è quello che fa il punk rock. Questo è ciò che fa l’hardcore. Penso che lo faccia molto meglio di qualsiasi altro genere là fuori, davvero. Non sapevo che sarebbe stato così allora, mi identificavo solamente davvero con come mi faceva sentire.
Ma sai, dopo tutti questi anni, posso guardarmi indietro e dire che tutti vogliono sentire che, non importa quanti anni hai, vuoi sentirti giovane e vuoi sentire che c’è ancora una vitalità. E hai ancora qualcosa da dire e che puoi ancora, inveire contro le autorità e tutto il resto, sono tutte cose molto importanti.
E quindi penso che sia proprio questo, fondamentalmente il fascino universale dell’hardcore punk.
Ecco anche perché i temi dei Descendents, come le lotte emotive, la ribellione giovanile, ma anche l’anticommercialismo, il l’etica DIY sono ancora valide al giorno d’oggi, immagino.
Si. Voglio dire, penso che a noi, semplicemente piaccia fare musica. E penso che da tempo abbiamo rinunciato all’idea che avremmo venduto un sacco di dischi. Noi semplicemente, amiamo suonare dal vivo e questo è ciò che ci spinge davvero ad uscire e farlo.
E quindi, per me la cosa più emozionante e quasi sorprendente su tutto è che siamo stati in grado di farlo senza vendere dischi.
E nel 1980 o nel 1990 non avrei mai pensato di dire: “beh, posso guadagnarmi da vivere facendo questo senza dover vendere dischi”. Sai, sono concetti un po’ separati. L’equazione è cambiata adesso e possiamo semplicemente fare la nostra musica e guadagnarci da vivere senza preoccuparci così tanto di, avere un disco di successo o qualcosa del genere. È solo che non fa più parte dell’equazione. Il che è davvero fantastico.
Immagino sia un caso unico.
Sì. È ottimo.
New Alliance records, SST Records, FAT Wreck Chords, e ovviamente Epitaph records. Qual è il rapporto dei Descendent con queste etichette discografiche?
Beh, penso che qualsiasi etichetta discografica con cui siamo stati coinvolti, è stata davvero entusiasta della musica. E così hanno voluto pubblicarla per noi.
Ad esempio, alla SST Records, fin dall’inizio, sono stati grandi sostenitori della band. E quindi siamo stati abbastanza fortunati da avere le loro orecchie, in pratica, e questo ci ha davvero aiutato allora.
Ma la stessa cosa vale per la Epitaph Records. Sono stati grandi sostenitori della band. E quindi ne fanno parte anche le amicizie che emergono in tutto questo. Facciamo amicizia con l’etichetta. Le etichette sono nostre amiche e guarda caso sono grandi fan del punk rock. E questo ci aiuta molto. Penso che non avremmo avuto tanto successo se fossimo su una major perché ti perdevi nella confusione. Quelle sono persone che ti chiederanno: “beh, quanti dischi venderai? Oppure, dov’è il singolo di successo?”; non ci preoccupiamo di nulla di tutto ciò con la Epitaph o con la SST o con qualcuna di quelle etichette.
Sono davvero grandi fan di quello che facciamo e del punk rock in generale; questo per me è un criterio importante: se voglio fare un disco, sei fan di questa musica? E quindi finora, è più o meno quello che abbiamo fatto, è quello che abbiamo deciso di fare è lavorare con loro. Sì.
A quali band eri o sei maggiormente legato?
Beh, ho ancora un legame enorme con tutto il punk rock della scena di Los Angeles 1979/1981. Quel periodo il punk rock a L.A. per me è davvero quasi magico in termini di come mi fa sentire quando sono qui, e band come The Germs, X, e Black Flag, Minutemen, Sacrantrust, molte di quelle prime band della SST, sono tutte davvero importanti per me.
E ovviamente c’è una componente nostalgica in questo, ma continuano a farmi sentire proprio come voglio fare musica e mi fanno sentire giovane.
Ed è per questo che ascolto ancora tutto questo. Al momento non posso dire che ci sia qualche band che mi fa sentire allo stesso modo. Ma, sai, tengo le orecchie aperte e cerco di ascoltare nuove band ogni volta che escono. Ma a mente fredda, non riesco a pensarne ad alcuna in questi termini.
Ma quindi vai ai concerti oggigiorno?
Sì, voglio dire, quando suoniamo ai festival, provo a dare un’occhiata alle band di apertura dei festival.
Ogni tanto vado a vedere musica dal vivo, ma diventa più difficile man mano che invecchio, solo perché ho figli e cose del genere.
Come spieghi il punk ai tuoi figli?
Beh, loro ci sono entrati quasi indipendentemente, perché, ci sono molti altre band più popolari di noi che suonano quella musica. E quindi penso che abbiano scoperto la mia musica attraverso alcune delle altre band là fuori.
Mia figlia è incappata in questa band, gli Agent Orange, che è un’altra punk band di Los Angeles.
Una volta che ha iniziato a dedicarsi agli Agent Orange, ho pensato, “oh, è fantastico”. E ho iniziato semplicemente a suggerirle le band da ascoltare. E così si è appassionata al punk rock.
E poi, (questo è successo intorno al 2010), ha detto: “Papà, non puoi fare quello che stanno facendo queste band? Tipo, esci e suona ai concerti”. E all’epoca non stavamo suonando. Eravamo, sai, in una lunga pausa. Quindi è stata mia figlia a suggerirci di uscire e suonare di più, e devo ringraziarla per questo, perché a partire dal 2011, abbiamo iniziato a suonare; dal 2011 fino a ora suoniamo costantemente. E in un certo senso, ringrazio mia figlia per questo, solo per avermi suggerito, “ehi, dovresti andare a suonare queste cose dal vivo”. Quindi è stato bello.
I miei figli sono grandi fan della mia musica. Quindi è fantastico così.
Hai bilanciato una carriera nel campo della scienza, della biochimica con l’essere il cantante dei Descendents. Sto pensando anche a Greg Graffin; pensi che questo aspetto, insieme ad alcune tematiche delle canzoni, anche alle melodie, abbia reso la vostra musica e il punk più accessibili?
Beh, sai, penso che Greg abbia una buona interpretazione della cosa. Mi piace la sua opinione perché dice che impegnarsi nella scienza significa sfidare lo status quo.
Perché gran parte di ciò che fanno gli scienziati è guardare qual’è lo stato attuale del campo o quali sono le teorie attualmente accettate e poi dicono,” no, non ne sono convinto, dovrò eseguire alcuni esperimenti per verificarlo”. E questa è una sfida allo status quo. E dice che questa è la connessione che stabilisce tra il punk rock e la scienza. Penso che sia un buon modo per dirlo, che entrambi stanno sfidando lo status quo.
Io lo vedo come forme diverse di creatività perché ovviamente fare musica è uno sbocco molto creativo. E questa è una delle ragioni per cui faccio musica, è per quello sbocco creativo.
Ma per me la scienza è la stessa cosa. La scienza è qualcosa in cui progetti esperimenti, pensi al mondo, pensi a meccanismi e cose del genere e cerchi di attaccare in modo creativo qualunque problema scientifico ti trovi di fronte. E quindi sento che ci sono due rami della stessa urgenza fondamentale, che è quella di essere creativi. E tutti vogliono essere creativi. Puoi essere creativo nella scienza o puoi essere creativo nella musica, e io scelgo semplicemente di fare entrambe le cose.
Come ci si sente ad essere stato cartoonizzato? Sai, perché stamattina guardavo la mia maglietta dei Descendents e ho detto: “okay, wow, quindi oggi intervisterò Milo”.
Ovviamente sto solo scherzando.
In un certo senso, penso che inizialmente fosse un po’ strano, ovviamente, ma immagino che ora io l’abbia astratta come cosa, perché progettiamo sempre nuove magliette e, sai, Bill il batterista mi chiede sempre nuove idee .
E quindi devo solo pensarci in astratto, tipo: “Cosa farebbe Milo su una maglietta? E cosa possiamo far fare a Milo con una maglietta di sciocco o stupido o altro?”
E quindi si verifica una certa astrazione. Cerco di non pensarci troppo perché è un po’ strano. Ma, sai, ci è servito bene, quel piccolo scarabocchio, e ci divertiamo molto.
Ci piace realizzare quelle magliette e, è ancora una volta qualcosa di inaspettato e molto sorprendente il fatto che abbia preso il sopravvento in quel modo. E penso che probabilmente sia legato al fatto che è una figura stilizzata così semplice. Se fosse qualcosa di più complicato penso che le persone non lo metterebbero sul corpo. È bello che sia risultato essere qualcosa di così rudimentale e facile da tatuare, in fondo. Ed è sempre divertente vedere i tatuaggi delle persone.
Davvero divertente, sì. Immagino di sì.
Grazie mille, Milo, per il tuo tempo. Non vediamo l’ora di vedervi con i Descendents sul palco qui in Italia.
Sì, grandioso. Ci vediamo tra una settimana, allora.