Breve storia della cultura sound systemThe stone that the builder refused
Will always be the head cornerstone
You’re a builder – here I am a stone
Don’t you think and refuse me
‘Cause the things people refuse
Are the things they should use
Do you hear me? Hear what I say!
(Bob Marley)
Il sound system (o sound) è una sorta di discoteca mobile formata da una serie di elementi, tra cui generatori, casse, giradischi e amplificatori, e il suo scopo principale è quello di diffondere musica e vibrazioni ad un volume “spacca-timpani”. Le casse, dalle grandi dimensioni (specie quelle per i bassi, le c.d. scoop bin), sono generalmente diverse da quelle che si trovano in commercio e spesso sono “autoprodotte”, ovvero costruite in proprio.
Fonte https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dub-I-Land_Soundsystem_@_Lorrainepark_22._June_2013.png
Lo scoop bin è un tipo di cassa acustica a tromba a carico posteriore per basse frequenze. La sua particolarità è data dal fatto che il suono proviene sia dal carico frontale del woofer che dalla tromba. Il suo suono si presta per la riproduzione di alcuni generi musicali, come per esempio reggae e dub, per la potenza e la profondità delle loro basse frequenze.
Ma quando e come nascono i sound system?
I primi sound system e dunque la c.d. bass culture apparvero in Giamaica negli anni Cinquanta, nei ghetti delle grandi città in cui venivano emarginate le persone povere.
I dj erano soliti passare tracce rhytm and blues e swing incise su 78 giri provenienti dalla Florida per mano dei lavoratori di campi di cotone.
“In questo clima di oppressione e disuguaglianza in cui si aveva voglia di evadere e di lottare contro la fame bisognava reinventarsi e cercare un modo per sbarcare il lunario. Questi Sound System venivano piazzati agli angoli delle strade, fuori dai centri commerciali diventando un vero e proprio momento di aggregazione sociale, un forum politico e anche il giornale del ghetto, insomma il fulcro della comunità. Era l’unico modo per poter ascoltare musica, dato che nessuno poteva permettersi una radio in casa, e di fronte al Sound System, con le sue forti vibrazioni, la gente dimenticava i propri problemi. Grazie ai sound man e alla loro voglia di sperimentare sempre cose diverse e soprattutto autoctone, per intrattenere il pubblico. Nascono così in Giamaica i vari generi musicali: Ska, Rocksteady, Reggae e il Dub” (da un’intervista rilasciata nel 2014 a Il Manifesto Sardo da Omar Casoni // Canapa Sound)
Nacque dunque anche la musica ska (per una breve disamina su questo genere rimando alla lettura di questo mio articolo), che prese subito il sopravvento, e i dj, un disco dopo l’altro, iniziarono a introdurre vocalmente, presentandole, le loro chunes (tunes, canzoni) esclusive: era anche un modo, quello, per fare pubblicità ai propri sound, visto che i sound erano rivali tra loro.
Ecco alcune tra le prime canzoni storiche della musica ska:
1. Penny Reel di Eric Monty Morris
2. My Boy Lollipop di Millie Smalls, il primo pezzo ska che andò oltre il territorio giamaicano per approdare in Inghilterra.
Uno dei sound più potenti dell’epoca era il Tom The Great Sebastian Sound: si narra non avesse mai perso un soundclash (letteralmente, uno scontro sonoro, una competizione musicale in cui i membri delle crew si scontravano “a colpi” di musica, e chi perdeva, perdeva non solo i dischi, ma anche l’uso dell’impianto).
Ma facciamo un salto indietro nel tempo e andiamo alla fine degli anni Quaranta.
Sapevate che la nave Empire Windrush ebbe una parte rilevante nella storia multietnica del Regno Unito?
Era il 22 giugno del 1948 quando essa approdò nella baia di Tilbury nell’Essex, con quasi 500 passeggeri provenienti dalle Indie Occidentali, in prevalenza giamaicani o originari di Trinidad: tutti avevano una grande speranza nel loro cuore… tutti erano desiderosi di poter ricominciare con una nuova vita.
Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/HMT_Empire_Windrush
Lo sbarco di quei passeggeri divenne un episodio di fondamentale importanza per la storia moderna della Gran Bretagna: l’impatto sociale di quella migrazione simboleggiò l’inizio delle relazioni multiculturali che avrebbero cambiato la società inglese in modo significativo negli anni a venire, rimodellandone il paesaggio culturale.
Nei primi mesi che seguirono all’approdo della generazione della Windrush, il potenziale artistico dei nuovi arrivati cominciò a palesarsi: basti pensare al teatro creolo e alla pantomima di Miss Lou Bennett (poetessa folk, scrittrice ed educatrice giamaicana) e, ovviamente, alle tonnellate di musica.
Il giamaicano originario di Kingston Duke Vin, al secolo Vincent George Forbes (25 Ottobre 1928 – 3 Novembre 2012), era un “sound system operator and selector” che nel 1955 costruì a Londra il primo sound system del Regno Unito, il Duke Vin the Tickler’s, usando un giradischi di seconda mano acquistato in un negozio a Edgware Road, uno speaker pagato £15 e un amplificatore costruito per £4.
Il sound system di Duke Vin the Tickler fu molto importante per la crescita della popolarità della musica ska in Gran Bretagna: inizialmente suonava R&B, ma presto si concentrò sulla musica e sullo stile giamaicani, passando le c.d. “Jamaican releases“, che includevano molte produzioni dello Studio One, dal Daddy Pecking’s Shop nella West London.
Teatri dismessi e appartamenti occupati divennero set spontanei per feste illegali pubblicizzate col passaparola (come accadeva anni fa con gli illegali qui a Roma), i c.d. blues parties, dove si poteva ascoltare ad altissimo volume e ballare principalmente rhythm & blues e calypso, amplificando il senso di appartenenza di quegli immigrati e facendosi portatori delle loro paure e dei loro desideri.
We set out we speaker innah three high stack,
the bass, the midrange and the tweeter pon the top,
and when the bassline drop,
the speakers can’t pop,
we build the box solid them can take the impact,
and when we play the riddim crowdah people start rock,
dem know Ghetto-tone ah the cream of the crop!
(Lezlee Lyrix 1983, Ghetto-tone Sound System, London)
Eccole, dunque, alcune delle radici della rave culture che, come è evidente, affondano nella cultura musicale giamaicana, che è a sua volta anche alle origini della club culture.
Quei blues parties con la musica sparata ad alto volume, quelle dance hall, erano occasioni di straniamento dalla società e un modo per incontrarsi e intrattenersi per gli appartenenti al sottoproletariato sia inglese che di origine giamaicana, un modo per incanalarne le paure, per far sì che il campo di battaglia si spostasse su un altro piano, quello della pista da ballo, facendosi la guerra a colpi di vinile.
Tekos de Marigny. Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Chenilval_006.jpg
- Trent’anni prima che la dance e la rave culture facessero la loro comparsa in Inghilterra e nel mondo, la musica giamaicana per mezzo del suo strumento privilegiato di diffusione fornì un modello pressoché completo di sviluppo della musica da ballo del XX secolo. É davvero strabiliante come un lembo di terra che affiora per soli 300 chilometri dal Mar dei Caraibi possa aver originato gran parte dei fondamenti della club culture attuale. In Giamaica, come affermaBill Brewster nel volume Last night a Dj saved my life, un disco smise di essere un prodotto finito e divenne matrice di infinite possibilità sonore. (La Repubblica XL)
Verso la fine degli anni Sessanta, il sound system cessò di essere una semplice discoteca mobile. Il giradischi cominciò ad essere utilizzato non solo per suonare la musica impressa sul vinile, ma come se fosse esso stesso uno strumento musicale, per dare vita a nuova musica, per creare diverse sonorità, grazie anche all’utilizzo creativo del mixer e con l’aiuto di effetti e processori del suono.
Il primo a fare toasting o Dee Jaying, ossia a “parlare” sui dischi, è stato negli anni Cinquanta Winston Cooper noto anche come Count Machuki.
Negli anni Sessanta County Machuki e The Ugly One King Stitt collaborarono con Clement “Coxsone” Dodd, fondatore nel 1954 a Kingston della Studio One, prima label nera giamaicana, nonché studio di registrazione, che nei decenni successivi venne coinvolta dai maggiori movimenti musicali giamaicani, tra cui ska, rocksteady, reggae, dub e dancehall.
Fonte: https://www.flickr.com/photos/abaraphobia/6065104195
Quando poi si passò dallo ska al rocksteady, il primo e storico pezzo di quest’ultimo genere fu Lovin Pauper di Dobby Dobson, poi reinterpretato da Greogry Isaacs.
Qualche anno dopo nacque il reggae.
Tra i pezzi storici della ska music non si possono non citare:
- Justin Hinds and the Dominoes (autori dell’album Jezebel, in cui era contenuto il singolo Carry go bring).
- Desmond Dekker, autore di numerosi classici, tra i quali Shanty Town e l’intramontabile Israelites.
- Quando andava forte il rocksteady, nato in Giamaica verso la metà degli anni Sessanta come variante dello ska, distinguendosi da quest’ultimo per gli accenti soul e per il ritmo più lento (è infatti considerato genere precursore del reggae), ne fu re incontrastato Alton Ellis, il cui primo pezzo fu del 1959 – Muriel, su etichetta Coxsone.
- Spopolavano inoltre i trii vocali, come i Wailers e i Sensations.
Si assistette, dunque, al repentino affermarsi dei toasters (detti anche djs o chatters), che in brani reggae parlavano o cantavano/cantilenavano sopra un riddim o un beat, ovvero parti di brani musicali composte da percussioni (il c.d. dj style).
La tecnica del toasting, tramite il dj style, venne adottata anche in altri sottogeneri del reggae successivi come la dub poetry, la dancehall, in particolare nel rub-a-dub, e in parte del raggamuffin.
Praticamente, questo stile fu il precursore del rap, che si sviluppò a New York negli anni Settanta proprio ispirandosi al dj style giamaicano. Dunque accadeva che il dj “parlava” su pezzi che venivano suonati dal selecta.
Duke Reid, fondatore della storica etichetta Treasure Isle, iniziò a stampare anche la versione strumentale sul lato B dei dischi, per permettere appunto ai toaster di fare dj style.
U-Roy, all’anagrafe Ewart Beckford, conosciuto anche come The Originator (Jones Town, 21 settembre 1942 – Kingston, 18 febbraio 2021), è stato un dj e toaster giamaicano, noto soprattutto per essere stato uno dei fondatori del dj style.
Sono da menzionare senz’altro anche Dennis Alcapone e dj del calibro di Trinity (sua è la splendida Three Piece Suite sul ritmo di I’m Still in Love di Alton Ellis e Doreen Shaffer).
Si assistette, dunque, a una vera e propria proliferazione di sound. E dopo l’epoca degli anni Sessanta dominata dal Coxsone Sound, un tale Cecill Bustamente Campbell, meglio noto come Prince Buster, fondò il memorabile sound Voice of the People.
Prince Buster iniziò a lavorare a Kingston col sound di Clement ‘Coxsone’ Dodd, ricoprendo vari ruoli, occupandosi della sicurezza, della gestione delle ricevute dei ticket, ma soprattutto scovando nuova musica. Quando diede vita al suo sound, The Voice of The People, in pochissimo tempo divenne rivale del Downbeat di Clement “Coxsone” Dodd (fondatore dello studio di registrazione Studio One) e del Trojan di Duke Reid (fondatore della label Treasure Isle) .
Negli anni Settanta e Ottanta nascono altri storici sound system: il Tippertone (unico sound al mondo – si dice – ad avere Bob Marley in speciale, il cui resident era Big Youth), il King Stur Garv (con i dj Charlie Chaplin e Josey), lo storico Youth Promotion di Sugar Minott, il Volcano di Junjo Lawes e Black Scorpio.
I toaster diedero le basi al raggamuffin (o ragga), la cui prima base digitale che ne sancì la nascita fu Sleng Teng, nel 1985.
Ma torniamo un attimo agli anni Sessanta, a quando i Rude Boys giamaicani emigrati portarono con sé questa tradizione, diventata poi popolare anche nel Regno Unito.
Anche alcuni giamaicani emigrati a New York negli anni Settanta, in particolare DJ Kool Herc, portarono questa tradizione negli Stati Uniti fondando un movimento che diede origine all’hip hop. Il toaster che animava lo spettacolo e cantava in stile toasting sui dischi suonati dal selecter, diede in seguito origine alla figura del Master of Ceremonies (MC o rapper).
La cultura dei sound system è legata ai dubplates, ovvero a quei dischi che erano stampati in pochissime copie (anche un solo esemplare) e che venivano usati negli studi di masterizzazione al fine di controllare la qualità ed esaminare le incisioni prima del master finale (poi la registrazione per essere “più massiccia” veniva prodotta sul vinile).
La tradizione dei sound system, con la musica reggae e dub sparata a palla e coi suoi bassi potenti, continuò anche in Inghilterra specialmente negli anni Ottanta. Tra i sound system dell’epoca di genere reggae e dub presenti a Londra, da ricordare è sicuramente quello di Jah Shaka, ancora oggi attivo e conosciuto praticamente da tutti gli amanti del roots/dub, che ha dato vita a pezzi intramontabili quali Kunta Kinte Dub e Babylon. Questo sound fu uno dei pochi, se non l’unico, che continuò a dedicarsi a testi di carattere spirituale e religioso in linea con la tradizione giamaicana, dando vita al genere reggae conscious o roots.
Gli altri sound system invece si dedicarono ad un nuovo genere, la dance hall reggae (noto anche come bashment), sviluppatosi attorno al 1979 in Giamaica, che puntava più al divertimento e allo svago, tralasciando il carattere spirituale del roots.-
INTRODUZIONE DI PRINCE BUSTER – 881
In un’intervista degli anni sessanta dissi a Norrie Drummond che la mia è una musica di protesta, che si batte contro lo schiavismo, i pregiudizi di classe, il razzismo, le disuguaglianze, la mancanza di prospettive economiche e le ingiustizie patite durante il periodo coloniale in Giamaica. Ci hanno rapiti dall’Africa dove i nostri antenati erano re e regine, trascinati in Giamaica sulle navi come schiavi ci hanno sottratto il nostro nome, la nostra lingua, la nostra cultura, il nostro Dio e la nostra religione. Però la musica è l’anima dell’Africa, il suo spirito, il suo dna, la sua eredità, e quella non sono stati capaci di conquistarla, permettendo così la nascita proprio qui, in Giamaica, della rivoluzione culturale che chiamiamo ska: la madre, il grembo che ha partorito rocksteady e reggae, il nostro modo di vivere.
Le menti dei giamaicani sono state colonizzate dal rhythm&blues americano, la cui influenza è filtrata in profondità nel tessuto sociale con effetti devastanti sulla nostra musica popolare, sul dialetto, perfino sul nostro modo di vestire. Il suono americano ha prevaricato il nostro patois giamaicano, il mento, il burru e la pocomania, che sono stati esiliati dalle città per riparare sulle colline nelle aree rurali, e invece di canzoni giamaicane come Slide Mongoose e Linstead Market le emittenti radio e i sound system sparavano la musica di Duke Ellington, Sarah Vaughan, Fats Domino, Louis Jordan, Wynonie Harris, Willis Jackson e Patti Page, mentre i grandi Louis Bennett, Ranny Williams, Bim & Bam, i padri della nostra cultura, finivano nel dimenticatoio. Non fraintendetemi, io amo il rhythm&blues, adoro Louis Jordan, però ho anche un amore innato per le cose giamaicane, per le espressioni musicali dell’isola e per le sue forme artistiche ereditate dall’Africa.
Nel 1957, a Kingston, quando avevo diciannove anni, mi sono costruito il mio sound system e l’ho battezzato “Voice of the People”, la voce del popolo. È stato il primo con un nome che non richiamasse soltanto il sound operator o si riferisse solo alla musica e al ballo. Ai sound-men come Tom the Great Sebastian, Duke Reid the Trojan o Sir Coxsone Downbeat lo status quo andava benone, ma io sono cresciuto con gli insegnamenti dell’onorevole Marcus Garvey, come i miei genitori. La frase di Garvey, “sei un uomo come tutti gli altri”, è sempre rimasta con me, quindi il mio sound system doveva essere la stazione radio della gente attraverso le dancehall, in cui il popolo poteva far sentire il suo parere dato che non aveva accesso alle grandi emittenti. Per me è stato molto importante chiamare in quel modo il mio sound system perché la musica dei ghetti e delle campagne è sempre stata creata dalla gente per la gente. Lo ska è stato la prima musica giamaicana moderna che non si limitasse a copiare gli stili americani, e quindi aveva più significato per il giamaicano comune dell’R&B e del jazz che arrivavano da Miami o New Orleans.
Quando ho cominciato a registrare questa musica sui dischi mi è toccato convincere i musicisti a suonarla. All’inizio le stazioni radio non volevano mandarla in onda, e gli altri sound system la snobbavano. Però alla gente piaceva. Ricordo che quando ho messo su per la prima volta sul mio sound system a Salt Lane They Got to Go, il primissimo disco ska, la gente arrivava a frotte! Le altre serate andavano deserte perché il mio era un system bello potente che si sentiva da molto lontano in posti come Coronation Market, Back-A-Wall, Smith Village, Hannah Town, Foreshore Road e Parade, e la gente sapeva che stava ascoltando per la prima volta la sua musica. Era la musica del popolo, e il sound system che gliela portava era la “voce del popolo”, il mezzo con cui potevano farsi sentire.
Da allora la musica giamaicana, che si chiami ska, rocksteady, roots, reggae, è sempre stata la musica del popolo, le sue urla, i suoi ritmi, i suoi momenti felici, i dolori, le canzoni d’amore. E ogni volta che il mondo esterno viene a contatto con questa musica, il ritmo cambia, perciò quel che esce dal sound system è sempre genuinamente rappresentativo della gente che lo crea.
Anche se il roots reggae degli anni settanta è generalmente ritenuto, assieme alle canzoni d’amore, la prima espressione musicale di quello che pensa la gente della propria vita, in realtà era già così dagli albori dello ska. C’erano African Blood, Shanty Town, Black Head Chinee Man, Taxation, Too Hot, They Got to Come My Way (il primo ufficioso inno nazionale della Giamaica) mentre le percussioni di Oh Carolina ricordavano alla gente che l’Africa non era morta. E il moderno dancehall reggae fa la stessa cosa con dischi come Black Man, Pharaoh House Crash, Police Trim Rasta, Hard Man Fe Dead e Send Us a Deliverer. Ogni oscillazione della musica giamaicana degli ultimi quarant’anni ha rispecchiato quello che succedeva alla gente, in senso politico o sociale, ma spesso accadeva anche l’inverso: la musica e i sound system influenzavano la politica del paese.
Il governo ha fatto imbestialire la gente quando mi ha incriminato per possesso di testi proibiti, nella fattispecie un libro intitolato Message To the Black Man, scritto da un uomo nero per rivendicare la dignità dei neri. Il governo affermava che le mie ricerche sull’isola in quel periodo erano indesiderate, scatenando così manifestazioni di massa appoggiate dagli intellettuali dell’università. In quei giorni ho affibbiato al primo ministro Shearer l’epiteto di “Faraone”, di individuo guidato da una mentalità colonialista. Del resto era lui ad avere ordinato alla sua polizia di sparare prima e fare domande poi. Shearer ha perso le successive elezioni, così è diventato primo ministro Michael Manley, che ha fatto tesoro degli errori del Faraone e ha ritirato il bando a Message To the Black Man e agli altri testi scritti dalla gente di colore.
La musica giamaicana è sempre stata una vera musica popolare, ma quando hanno raccontato la sua storia l’hanno presentata di rado come la storia di un intero popolo, una storia che facesse capire che le persone dotate di talento erano state influenzate dal popolo prima di entrare in studio o di prendere in mano un microfono durante una serata. Troppo spesso hanno raccontato soltanto metà della storia, e lo sfondo, i sommovimenti e i mutamenti vissuti dall’isola prima e dopo l’indipendenza finiscono dimenticati sotto una valanga di musica. Invece Bass Culture non vuole tralasciare nessuno degli eventi che hanno contribuito a fare di questa musica di una piccola isola una forza planetaria. L’era dei rude-boys, il bando di Walter Rodney, la crisi del Fondo monetario, l’emigrazione di massa in Gran Bretagna, le cruente elezioni politiche, la prosperità del post-indipendenza e la successiva grande delusione, la polizia britannica, l’effetto Bob Marley, le miniere di bauxite e il turismo di massa, l’influsso della tecnologia sulla musica… be’, qui troverete tutto.
Ci voleva un uomo come Lloyd Bradley per raccontare la storia completa. L’ho conosciuto quando mi ha telefonato per chiedermi se poteva venire a Miami a parlarmi di un libro che stava scrivendo. Dopo essermi fatto spiegare alcuni degli argomenti a cui era interessato gli ho dato l’ok. È arrivato con un’ora e mezzo di anticipo. Io ero stato in studio tutta la notte e stavo riposando, così lui si è seduto tranquillo ad aspettare. Quando mi sono alzato un’ora e mezzo dopo l’ho trovato in soggiorno e gli ho chiesto come mai si era presentato con tanto anticipo, lui ha risposto che temeva di arrivare in ritardo. Allora sono scoppiato a ridere, e questo ha dato il là all’intervista, che avrebbe dovuto essere breve e invece è andata avanti per tre ore. Lloyd Bradley sa guardare oltre la musica, sa che è stata la vita reale della Giamaica a crearla, e che a sua volta la musica ha influenzato la gente. Lloyd lascia che siano le persone a dire com’è andata, e si è dannato per catturare l’orgoglio, la passione, le lotte e l’umorismo, ma soprattutto l’amore che ha sentito nella musica e visto nella gente. Ha capito la storia, e adesso ce la racconta con onestà, classe e gratitudine.
Abbiamo aspettato per anni un libro come Bass Culture, però ne è valsa la pena. Questo è un libro che tratta la musica popolare di quella piccola isola caraibica con la stessa serietà e profondità delle altre forme musicali, eppure non perde mai di vista lo spirito, la forza e la gioia che l’hanno creata. Questo libro sa che il reggae è una faccenda seria, ma non dimentica mai che possiamo anche ballarlo.
Oggi finalmente la musica giamaicana ha il libro che si merita.
Fonte immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:The_only_good_system_is_a_sound_system.jpg
Pubblicato il: 17/05/2022 da Skatèna