Recensione An Evening with Pat Metheny @Auditorium 20 Luglio 2018
An Evening with Pat Metheny
Pat Metheny (w/Antonio Sanchez, Linda May Han Oh & Gwilym Simcock)
@Auditorium (Parco della Musica) (Roma Summer Fest)
Venerdì 20 Luglio 2018
L’Auditorium ha accolto molto bene l’ormai consueto appuntamento romano con la musica di Pat Metheny. Dopo una ridicola fila stile aeroporto per entrare nella cavea, inizia il concerto con un Pat molto felice di essere tornato, cosa che ha anche ribadito a metà concerto. Ci saluta con uno stupendo brano solo chiamato “Into the Dream”, suonando con la sua chitarra “Pikasso” (uno strumento costruito apposta seguendo le sue specifiche, un ibrido di tre chitarre e un’arpa). Dopo questo brano magico ed evocativo entra la band: Linda May Han Oh al contrabbasso e basso elettrico, Gwilym Simcock al pianoforte e il grandissimo Antonio Sanchez alla batteria (nonchè premio Oscar per la colonna sonora di Birdman).
Si parte con un paio di classici suonati egregiamente; nella musica in generale ma soprattutto nel jazz l’interplay è fondamentale. Il suono ovattato della chitarra di Metheny si sposava perfettamente con le dinamiche della batteria, di cui Sanchez è un maestro assoluto, con la presenza pulsante del contrabbasso e le raffinate incursioni armoniche del pianista. Si sta parlando di gente che sa il fatto suo, e ascoltare concerti del genere lascia sempre l’idea di assistere a una lezione su come si deve veramente suonare e vivere la musica. La collaborazione tra i musicisti è stata notevole, tutti sempre attenti alle note degli altri, in modo da creare unisoni ritmici, raddoppi di fraseggi ecc., tutto ciò che insomma significa fare musica insieme. Poi arriva un pezzo molto spinto, un fast che fa da preludio all’assolo di Sanchez: non a caso è uno dei primi batteristi al mondo nell’ambiente jazz/fusion, la sua padronanza è totale e il controllo delle dinamiche è pressochè perfetto; roba solo per pochi eletti, con Metheny che lo guarda compiaciuto e sorridente perchè abbiamo di fronte un batterista che suona cose che solo i musicisti inarrivabili riescono a fare. D’altronde, come non essere felici a suonare con un batterista così? Dopo una ballad arriva il momento per un altro classico, “The Red One“, brano composto con John Scofield. Arriva il momento in cui Metheny si sfoga appieno, imbracciando la sua Alembic collegata al Roland Synth con cui ha creato il suo tipico suono di chitarra sintetizzata, a mò di strumento a fiato. Il pezzo fila via potentissimo e sinuoso, con tutti i musicisti intenti a creare insieme una stupenda versione alternativa del brano. Come lo stesso Metheny ricorda, è contento di essere lì a suonare alcuni brani magari un pò datati ma in una chiave nuova, cosa che rende sempre fresca la sua musica. C’è da dire che quando la formaziona di una band cambia, cambia anche il modo di interpretare la musica, con ognuno dei musicisti che contribuisce con il suo stile. Lasciando molto spazio agli altri si trova sempre il modo di rinnovare dei vecchi brani, per goderne come se fossero stati composti e suonati dal vivo da poco tempo; soprattutto Sanchez ha portato una nuova spinta alla musica di Metheny. Finisce il primo set.
Anche se Metheny e Sanchez la fanno da padroni, con i due in primo piano sul palco, arriva il momento dei duetti: Pat prima si cimenta in un bel brano con la contrabbassista malesiana, devo dire molto brava e con un’ottima intonazione sullo strumento; poi un altro duetto con il pianista, molto interessante. Ho notato con piacere che Metheny ha voluto regalare del risalto anche a questi due musicisti, un pò oscurati dalle due stelle della band; purtroppo per modo di dire, dato che suonano con dei musicisti quasi leggendari, ormai… Infine il duetto con la batteria, uno dei momenti più intensi del concerto: nonostante la lunga durata, i due hanno regalato una sensazione fortissima al pubblico, e la cosa che mi ha colpito di più è stato il fatto che in due riuscivano a suonare e ad essere “completi“ come se fossero una band intera. Dinamiche dalle più basse alle piu forti, senza mai annoiare il pubblico nemmeno per un secondo. D’altronde, come si diceva prima, si sta parlando di due musicisti rari da trovare.
Nonostante la lunga carriera Metheny ancora gode nel fare musica, nuova o vecchia ma in un modo sempre rinnovato, regalandoci quasi due ore e mezza di ottima musica. Il suo sorriso è quello che abbiamo avuto tutti, ci saluta e presenta la sua fantastica band per la terza volta, segno che è un musicista umile e riconoscente a chi vuole condividere la sua musica con la gente. Saluta e se ne va ma torna subito dopo per il bis, richiesto a gran voce: il primo è un medley di brani fatti con la chitarra classica in solo, e devo ammettere che lui è uno di quegli artisti che ti sa incantare anche con musiche “semplici“, cioè non complicate e tiratissime (che riescono quasi sempre ad essere apprezzate a prescindere essendo musiche d’impatto). Ma la dolcezza del suo tocco e l’emotività sprigionata dalle note ha davvero lasciato il segno, ed è stata un’altra cosa che di lui mi ha colpito molto. Davvero un musicista completo che sa stupire in modi sempre diversi, un artista completo. Per l‘ultimissimo brano torna la band e attaccano con un altro dei suoi grandi classici, “Song for Bilbao“, un latin jazz che ormai è oggetto di studio per tutti gli aspiranti jazzisti. Purtroppo arriva la fine del concerto e la cavea dell’Auditorium, praticamente sold out, applaude e saluta uno dei chitarristi più interessanti in circolazione, tributandolo di onori meritatissimi. Ci sono dei musicisti che, aldilà del genere di musica che propongono, hanno sempre qualcosa in più degli altri, e questo si percepisce ascoltando la loro musica e soprattutto assistendo ai concerti, situazioni che rendono la musica più viva rispetto a un album registrato. Il loro messaggio arriva a tutti, e il fatto che sono lì sul palco da molti anni ha una motivazione forte e sicura; è questo che secondo me li rende grandi.
Roberto Fasciani
Pubblicato il: 21/07/2018 da Redazione Radio Città Aperta