Fast Animals and Slow Kids: metti questa in radio se hai coraggio…
Abbiamo intervistato i Fast Animals and Slow Kids, rock band che si è formata a Perugia nel 2008 composta da Aimone Romizi (voce, chitarra, percussioni), Alessandro Guercini (chitarra), Jacopo Gigliotti (basso) e Alessio Mingoli (batteria, seconda voce), che il 25 luglio hanno suonato davanti a 3000 persone a Villa Ada per presentare “Animali Notturni”, il loro quinto disco uscito il 10 maggio per Warner Music.
– è uscito il 10 maggio il vostro quinto disco “Animali Notturni”, il primo per la Warner, prima con che etichetta eravate?
(Aimone Romizi): Woodworm, che è ancora il nostro management…
– il disco è stato anticipato dai singoli “Non potrei mai” uscito a fine marzo e da “Radio radio” uscito il 2 maggio, il cui testo è un po’ provocatorio verso le radio: “metti questa in radio se hai coraggio, se hai un cuore passa questa canzone…”
(A.R.) In parte sì anche se noi l’abbiamo scritta con un’idea molto chiara, che è più improntata sul concetto di libertà artistica, nel senso di comunicare quello che si sente, di mettere in radio quello che veramente lo speaker ha nel cuore, cioè non è tanto “metti la nostra canzone”, è più intesa nel senso “abbi il coraggio di fare la musica che ti rende libero”, esprimi quello che senti davvero, quindi da una parte si esorta chi fa musica a farla in modo libero e dall’altra si esorta chi la può passare in radio a farlo liberamente senza sottostare a playlist imposte, ecc.
– Infatti è anche la nostra filosofia a Radio Città Aperta dove passiamo quello che ci pare, raccogliamo la sfida…
(A.R.) La nostra vita è la musica e allora parliamo di musica, ma se tu togli la radio dal testo e ci metti un altro lavoro è lo stesso principio, cioè cercare di fare delle cose che siano il linea con la nostra personalità e che non abbiano dei filtri a cui soggiacere, soprattutto in ambito artistico questo è essenziale…
– Nel video di “Non potrei mai” è protagonista Amerigo, un uomo di 60 anni che ama ballare tra le piazze più belle di Roma e che ogni mattina prende la metro da Rebibbia al centro, dove l’avete incontrato?
(A.R.) Amerigo l’abbiamo incontrato per strada, nel senso che lui balla per le strade, soprattutto ai Fori Imperiali e a Piazza del Popolo, ma da pochi anni…
– A Roma c’era una figura storica che chiamavano “il pazzo di Piazza Barberini” che si vestiva in modo strano, eccentrico, con delle antenne radio-televisive in testa, ecc. ed era diventato un po’ l’attrazione della piazza, faceva parte del paesaggio, purtroppo è scomparso da qualche anno, un po’ me l’ha ricordato…
(A.R.) Lui è molto particolare come personaggio, però dentro ha una poesia meravigliosa, è un po’ quello a cui aspiriamo anche noi, lui balla per liberarsi dei propri drammi, dalla propria situazione, da quella che è anche la sua esistenza in certi casi, quindi è proprio un momento liberatorio e istintivo col quale lui smette di pensare a tante cose che ha dentro, e quando abbiamo capito che questo è il vero motivo per cui fa questa cosa l’abbiamo seguito per due giorni, ci ha riportato a noi stessi e al discorso che facevamo per “Radio radio”, la musica come liberazione, come forma terapica e terapeutica, la musica è essenziale ai fini di una vita più tranquilla, tramite quella noi spieghiamo ed esorcizziamo i nostri piccoli drammi e quindi diamo meno peso alla quotidianità, riuscendo a vivere una quotidianità più serena, e credo che un po’ sia esattamente il motivo per cui balla nelle strade, lui in realtà ha perso il lavoro, ha una storia abbastanza cupa, questa è la parte che non vogliamo raccontare…
– In “Radio radio” citate anche “La canzone del sole” di Battisti e Mogol in modo un po’ ironico “oh male nero, male nero…tu eri spento e decadente come me…”
(A.R.) Sì beh non è tanto ironico in realtà, la facciamo in modo cupo, quella era molto più allegra, mentre questo disco nasconde forse un’anima drammatica…
– Già dal titolo “Animali notturni” mi ha fatto pensare al film omonimo (“Nocturnal Animals”) di Tom Ford del 2016 presentato a Venezia dove ha vinto il premio della giuria, miglior film straniero ai David di Donatello e candidato all’Oscar nel 2017, è voluto il riferimento?
(A.R.) In realtà no, tra l’altro il film è bellissimo, l’omaggio non era voluto ma quando ci siamo accorti di questa cosa ci ha fatto piacere, comunque l’immaginario è lo stesso, sono sempre belle queste cose perché dietro al titolo c’è un mondo, noi abbiamo sempre cercato di fare un titolo che fosse rappresentativo di un disco, in realtà “Animali notturni” è venuto fuori dal fatto che dietro al disco c’è un’anima duplice abbastanza evidente che forse è quella che abbiamo un po’ tutti dentro, l’animale notturno può essere il tipo che se ne va in riviera romagnola e fa le 6 del mattino senza pensare a niente in maniera completamente distaccata…
– Possiamo anche essere noi che giriamo la notte per concerti…
(A.R.) Esatto, però “animale notturno” può essere anche la persona riflessiva o il musicista che si chiude in casa e pensa a se stesso e alla propria vita e tira fuori qualcosa di artistico, tira fuori se stesso e si autoanalizza, sono le due facce della stessa medaglia ed è un po’ il “core” del disco, cioè questa visione duplice di come può essere la vita, nel corso di questo anno abbiamo vissuto momenti di un dramma esistenziale devastante e istanti di felicità così intensa e importante da sembrare quasi bipolare, pazzesco, eppure sussistono, sono la stessa anima, e quindi cercavamo qualcosa che sviluppasse questo all’interno di questo animo “cupo” di base che permea tutto il disco, secondo me è molto evocativo…
– Anche la seconda canzone “Cinema” fa pensare che il titolo sia ispirato al film…
(A.R.) Tra l’altro “Cinema” è una delle canzoni più tristi in assoluto che abbiamo mai scritto credo…
– Ne “L’Urlo” c’è una frase in cui si invoca ancora la radio nel testo: “per primo io, e dopo gli altri, se c’è una radio devo mettere i miei dischi”…
(A.R.) Lì è più sottile, è del tipo “se c’è un qualcosa in cui io posso mettere la musica che voglio sentire io la devo mettere”, è un discorso di prevaricazione egocentrico all’interno dei rapporti, dove l’egoismo vince nei confronti della connessione e dell’amore, tutto sfugge alla logica per cui quando si sta insieme uno deve migliorare l’altro e dare una mano all’altro, piano piano una delle due parti viene sbilanciata, e come accade in molte coppie anche di amici c’è qualcuno che prevarica anche nella scelta musicale, anche la stronzata, la cosa che conta meno (come è la musica per la maggior parte delle persone, ma non per noi), anche la scelta del pezzo da passare in radio diventa un fattore di prevaricazione, e dalle piccolezze si può ricostruire il quadro di un rapporto che non funziona…
– La collega che fa con me la trasmissione (“Drive in Saturday”) ti darebbe ragione perché io spesso prevarico nella scelta dei brani da passare, ma lo faccio solo perché lei spesso non ha tempo o voglia di occuparsene…
(A.R.) Tu invece “impegnati di più” le devi dire…
– Parliamo della produzione di Matteo Cantaluppi, è la prima volta che collaborate con lui, uno si poteva aspettare un suono tipo Thegiornalisti, invece…
(A.R.) Anche noi ci aspettavamo questo, abbiamo fatto cinque prove, lui è il quinto produttore che abbiamo provato, siamo arrivati da lui con il massimo della non aspettativa, gli altri dischi prima erano tutti autoprodotti tranne il primissimo, ci siamo chiusi in questa casa di fronte al Lago di Montepulciano dove eravamo arrivati probabilmente al massimo dell’autoproduzione, volevamo ottenere di più dal suono, volevamo uno studio di un certo tipo e arrivarci in un certo modo, perché lì aveva molta importanza la fase compositiva, mentre noi qui avevamo fatto un grande lavoro precedentemente in sala prove, quindi avevamo molto chiara la struttura dei pezzi, avevamo bisogno di posti che reagissero in un certo modo e di qualcuno che questi posti li controllasse, per farlo suonare meglio, nel caso di Cantaluppi siamo arrivati lì con un po’ di paura, diffidenza e curiosità, per vedere il produttore cosa fa e perché lo fa, lui ci ha fatto capire che il produttore esalta il prodotto dell’artista, non deve imporre il suo sound, nel nostro caso gli abbiamo fatto capire cosa (non) volevamo e lui lo ha capito benissimo, perché non siamo clienti facili, se lui avesse proposto quello che noi ci immaginavamo avremmo scelto il sesto produttore, cercavamo un suono e questo è il suono che volevamo, siamo strafelici di aver lavorato con lui, tra l’altro è una persona che ha dimostrato una conoscenza musicale, una passione, è uno storiografo del pop e del rock, sa tutto, ascolta tanto, è un’enciclopedia umana, e da questo punto di vista per noi musicisti è importante fare conoscenze così perché ci ha fatto ascoltare cose che non avremmo mai ascoltato, ci ha ampliato la visione, in fondo un musicista non deve fare altro che parlare di musica, ascoltare musica e suonare, affinare l’orecchio, anche in termini di gusti, di ascolto, e lui è una persona che ce l’ha e che capisce e che al tempo stesso però ti fa il suono che vuoi tu, se sei una band che vuole il suono del momento con i synth allora fai quello, nel nostro caso volevamo fare in modo che quando risentiremo questo disco a 50 anni con i nostri figli non ci vergogneremo di quando ce ne avevamo 30…
– L’importante è che vi rappresenti adesso per quello che siete oggi, magari fra 20 anni farete cose completamente diverse…
(A.R.) Certo, l’importante è che in quel momento fosse coerente con noi stessi, perché tanto è così, se tu fai una cosa che non ti rappresenta si vede, anche questa cosa di inseguire le mode non è mica facile, è più facile fare come facciamo noi che ci facciamo gli affari nostri, perché la moda è stronza, la devi saper fare, mica tutti sono Lady Gaga, è più difficile che essere i FASK, lo credo davvero, perché per noi questo è quello che proviamo e che mettiamo in musica, punto, non c’è altra sovrastruttura, mentre magari una Lady Gaga ha una comprensione musicale a livello anche superiore del nostro, perché riesce a interpretare l’oggettività del mondo, noi invece facciamo le nostre cosine musicali e basta…
– Voi siete quattro amici che fanno musica insieme da sempre dai tempi delle cantine…
(A.R.) Dai tempi della scuola per la precisione, del liceo, c’abbiamo trent’anni adesso, sono 10 anni che suoniamo insieme, non siamo più giovanissimi, abbiamo visto vita, morte e miracoli dell’indie italiano degli ultimi anni, abbiamo visto i posti dove si è creata questa cosa, abbiamo suonato con tutte le band che adesso fanno i mega postoni, noi compresi, a Milano abbiamo suonato all’Alcatraz ma anche in tutti i locali che c’erano da 30 persone, per noi è una cosa che ci nobilita, siamo felici di questo perché sappiamo che sul palco ci arriviamo con una certa coscienza, io ho paura per i nuovi artisti che appena arrivano fanno subito il posto grosso, io mi cacherei addosso, salire su un palco senza sapere che cosa è il palco per me è un dramma, se dovessi ricominciare da capo con un singolo e poi andare subito all’Alcatraz mi vorrei uccidere, avrei paura per loro, anzi li stimo che riescono a gestire quell’aspetto là, perché nel nostro caso non saprei come fare, per me è proprio un lavoro, voglio sapere cosa sto facendo per filo e per segno, chi sta lavorando con me, bisogna avere coscienza di quello che si suona…
– Come nascono i vostri pezzi? Scrivi tu i testi e le musiche?
(A.R.) I testi li scrivo io, la musica la scrive per lo più il “Guercio” (il chitarrista Alessandro Guercini), però non esiste la possibilità che ogni singola parte non venga approvata da tutti e quattro, magari il più delle volte ci dividiamo la musica Alessandro e tutti insieme l’arrangiamento, poi io i testi e la linea melodica della voce, ma comunque tutte le canzoni passano al vaglio di tutti e quattro, non esiste che qualcuno non approvi qualcosa, basta una linea di basso, io ho combattuto per parole, è un “Game of Thrones” che nemmeno ti rendi conto, una roba drammatica, però continuiamo su questa linea perché alla fine ogni pezzo piace a tutti e quattro e quindi “no regrets” (no rimpianti), siamo tutti d’accordo su ogni singola linea e questo ci porta a un’unità che tante altre band non hanno, alla fine da quello che senti sul disco non ci schiodi, abbiamo sempre fatto così fin dal primo disco, e tutto viene diviso per quattro anche dal punto di vista delle economie, di come registriamo i pezzi alla Siae, ecc. la nostra musica dev’essere la nostra, dopo di che se ci scioglieremo sarà perché uno si tromba la ragazza dell’altro (ride)…
– Ma siete amici e vi frequentate anche nella vita di tutti i giorni?
(A.R.) Forse a Perugia ci frequentiamo meno, ma perché siamo sempre insieme in sala prove, proviamo tutti i giorni, per cui alla fine cerchiamo di staccare un po’ altrimenti anche a cena si finisce per parlare sempre di FASK, io li vedo tutti i giorni, più della mia ragazza…
– Ma comunque vivete sempre a Perugia?
(A.R.) Io faccio su e giù tra Perugia e Milano, perché la mia ragazza sta a Monza, però in realtà dipende anche dalle fasi del disco, da cosa stiamo facendo, adesso per esempio vivo a Perugia fisso…
– A maggio avete organizzato dei minilive e firmacopie con incontri serali in location segrete in collaborazione con la piattaforma ComeHome…
(A.R.) Più vanno avanti le cose e più ci piace cercare di ricreare delle situazioni particolari dove ci sia tempo per parlare con le persone, adesso tocchiamo un pubblico molto ampio e quindi non c’è più il tempo come prima di fermarsi a bere una birretta al bar, farsi due chiacchiere con tutti, ecc. quindi ci piace ricreare delle situazioni particolari dove suoni i pezzi in acustico, parli del disco ma ne parli davvero, hai un’ora di tempo, cose per 50 persone dove siamo in pochi e c’è il disco in mezzo, un po’ come stiamo facendo adesso ma con il pubblico, è una cosa che ci piace fare perché di fondo è anche la parte che ci è sempre piaciuta di più della musica, che se c’è una cosa che ti regala oltre ad un senso di soddisfazione personale molto importante è anche il fatto di “sentirti cittadino del mondo”, ovunque vai hai degli amici, gente con cui parlare, è soprattutto un fatto di scambio e condivisione…
– Avete fatto anche concerti all’estero o solo in Italia?
(A.R.) Abbiamo fatto un paio di apparizioni casuali, adesso però stiamo organizzando un tour europeo che partirà dopo quello estivo…
– Il tour estivo di Animali Notturni è partito il 24 maggio da Milano e prosegue fino a settembre…
(A.R.) Dopo il concerto di Roma a Villa Ada ci sarà quello di Platania (CZ) il 3 agosto, il 10 agosto a Brescia, l’11 a Pineto (TE), il 12 alle Grotte di Castellana (BA), il 22 a Riolo Terme (RA), il 24 a Vinadio (CN), il 31 a Senigallia (AN), il 5 settembre a Empoli (FI), il 6 a Palermo e chiudiamo il 14 settembre ai Giardini del Frontone di Perugia…
– Al Concerto del Primo Maggio avete duettato con Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale su “My Sharona”, siete amici?
(A.R.) Sì da anni, perché ha lo stesso percorso nostro, Lo Stato Sociale è una band che ha fatto tanta gavetta, al contrario di quello che molta gente pensa li ho visti suonare in dei posti assurdi, con pochissime persone e stare lì sul pezzo, quindi sono una band che ha macinato concerti, e noi ci siamo conosciuti lì, in posti del cazzo, senza livello tecnico alcuno però con tanto cuore, quindi questo ci ha legato particolarmente, abbiamo parlato molto e nel corso del tempo ci siamo rivisti mille volte, siamo molto legati a loro, soprattutto io e Lodo, ci sentiamo spesso, poi lui ha una vita un po’ nomade come la mia e allora ogni tanto ci becchiamo in giro…
– Anche tu faresti il presentatore del Primo Maggio?
(A.R.) Certo che lo farei, pensa quanto mi diverto, forse il Primo Maggio è uno dei concerti più divertenti, dipende qual è il contesto…
– Andreste anche a Sanremo come loro o faresti il giudice a X Factor?
(A.R.) Questo non lo so, mi fa già più paura, il punto non è Sanremo sì o Sanremo no, X Factor sì o no, è come lo fai, io credo che risulterei un po’ male, devi essere bravo a fare quelle cose, Lodo ha una capacità comunicativa molto forte, a lui gli vengono bene, io avrei paura di risultare finto, un pesce fuor d’acqua, anche se poi uno come Manuel Agnelli che era un pesce fuor d’acqua poi alla fine è risultato bravo come intrattenitore, perché alla fine quello fai, soprattutto con “Ossigeno”, io credo che dipenda dalla persona in sé, i Rolling Stones quando hanno fatto il pezzo dance erano i più fighi di tutti, se sei Mick Jagger puoi fare quello che vuoi, anche il giudice a X Factor, e io sarò lì a guardarlo…
– A proposito in “Chiediti di te” citate anche Bruce Springsteen, è uno dei vostri riferimenti musicali?
(A.R.) Per questo disco sicuramente, per tutta la band, è un po’ di tempo che siamo fissati con Bruce, “il Boss”, abbiamo puntato molto in alto con questo disco, ci sono anche i glockenspiel, la reference era molto quel mondo là, il “driving rock” americano, questa strada continua dove tu ascolti la musica, guardi fuori e diventa un film, quindi Springsteen sicuro ma ci metto dentro anche i R.E.M., gli Stone Roses per le chitarre, influenze esterofile sicuramente, ci sono anche i clap in “Non potrei mai” che era un riferimento musicale ai Cure, mentre Bruce c’era già anche in altri dischi, filtrato attraverso il punk, un suono più ruvido e poi siamo arrivati alle radici…
-Quindi l’apporto di Cantaluppi è servito anche ad ammorbidire queste spigolosità punk che avevate prima?
(A.G.) Noi ci siamo approcciati a lui avendo l’idea del produttore pop che togliesse e scarnificasse la canzone per renderla fruibile, in realtà ci ha assecondato in tutte le nostre follie, anche a lui piace aggiungere strati di suono continui, e ci ha insegnato che un pezzo può suonare bene anche così, assecondando quel matto là con la chitarra (che sarei io) a fare qualsiasi cosa, pezzi con 32 linee di chitarre, cori, una specie di “Wall of Sound” di Spector, però il risultato è quello che volevamo…
(A.R.) In questo caso siamo andati dritti per la reference, mentre altre volte dicevamo che ci sarebbe piaciuto avere certe idee, in questo caso siamo andati molto vicini all’idea primigenia di come avrebbe dovuto suonare questo disco, ed è la cosa figa secondo me…