16 anni senza Gaber: “Il Conformista”
In un tempo senza ideali ne’ utopia, dove l’unica salvezza è un’onorevole follia…
di Karol Lapadula
1 gennaio 2003 – Muore il cantautore, poeta e attore Giorgo Gaber.
Per rendergli omaggio, vi propongo la visione del seguente spezzone tratto da un suo spettacolo teatrale tenutosi a Cesena del 1996, in cui il nostro si esibisce con Il Conformista, canzone molto ironica, che mette in risalto caratteristiche e contraddizioni di chi, appunto, è un conformista, contenuta nell’album La mia generazione ha perso (2001):
Testo de Il Conformista
Talmente nuovo che è da tempo
Che non sono neanche più fascista
Sono sensibile e altruista orientalista
Ed in passato sono stato un po’ sessantottista
Qualche anno fa nell’euforia mi son sentito
Come un po’ tutti socialista
Per carità lo dico in senso letterale
Sono progressista
Al tempo stesso liberista antirazzista
E sono molto buono sono animalista
Ultimamente sono un po’ controcorrente
Son federalista
È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta
Il conformista
Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
È un concentrato di opinioni
Che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani
Forse da buon opportunista
Si adegua senza farci caso
E vive nel suo paradiso
È un uomo a tutto tondo che si muove
Senza consistenza il conformista
S’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza
È un animale assai comune
Che vive di parole da conversazione
Il giorno esplode la sua festa
Che è stare in pace con il mondo
E farsi largo galleggiando il conformista
Il conformista
E con le donne c’ho un rapporto straordinario
Sono femminista
Son disponibile e ottimista europeista
Ero marxista-leninista
E dopo un po’ non so perché mi son trovato
Cattocomunista
Non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone il conformista
Areostato evoluto che è gonfiato dall’informazione
È il risultato di una specie
Che vola sempre a bassa quota in superficie
Vive e questo già gli basta
E devo dire che oramai
Somiglia molto a tutti noi il conformista
Il conformista
Talmente nuovo che si vede a prima vista
Sono il nuovo conformista
01
Dal sito ufficiale di Giorgio Gaber, riporto un estratto della sua biografia a cura di Massimo Bernardini
Cos’è, cosa dice, scrive e fa un intellettuale, in una stagione confusa come la nostra? È uno che mentre gli altri sembrano fare i conti con le cose più spicciole guarda un po’ più in là e un po’ più dentro. Le parole di tutti non gli bastano, per lui vogliono dire un’altra cosa. Perciò le deve riscoprire, ripulendole da ovvietà ed equivoci. Perché l’intellettuale vero le parole le usa tutte, le più semplici come le più difficili, e non ne teme nessuna.
E poi l’intellettuale, quello vero, lo distingui perché ama il pensiero ma ancora di più ama la realtà. Ed è lì che diventa scomodo. Le parole, i pensieri, le ideologie, le misura con la realtà. E dunque di volta in volta diventa spiacevole per qualcuno. Quando un intellettuale non spiace più a nessuno non è che serva a molto.
Giorgio Gaber, come intuì qualche tempo fa lo scrittore e critico Luca Doninelli, è un intellettuale, forse l’ultimo della sua generazione. Quando oggi scrive: “La mia generazione ha perso” non è per finta ma nemmeno per autolesionismo. Grida che qualcosa è finito, qualcosa che era un sogno grande, e di tanti. Lui, che era nato come cantante di successo, entertainer di classe, lui che andava in tournèe con Mina e aveva un posto da titolare in tivù come a Sanremo, ci aveva creduto. E aveva mollato tutto per il teatro, l’impegno, il sociale. Parole consumate, oggi. Ma per chi negli anni 60 aveva cantato, e fatto cantare, successi come Non arrossire, La ballata del Cerutti, Porta Romana, Mai mai mai Valentina, E allora dai, Torpedo blu, Il Riccardo, Barbera e Champagne, La balilla, era stata una vera svolta.
Ma c’è di più. Gaber è stato ed è anche oggi, oggi che il suo interlocutore si è ormai frammentato in mille direzioni, un intellettuale collettivo. Altra parola consumata, che ci rimanda l’eco di antiche ideologie. Ma se la applichiamo a Gaber la definizione vuole semplicemente dire che insieme a Sandro Luporini in questi anni ha sentito e cantato per molti, suscitando emozioni e disappunti, esami di coscienza e commozioni, persino “inni” chissà se davvero compresi (“libertà è partecipazione”).
Poi Giorgio Gaber ama il rigore della forma, nella scrittura e in palcoscenico. Usa i mezzi di comunicazione per quello che sono e che valgono. Infatti la sua lingua è netta, semplice, diretta. Non ha complessi d’inferiorità verso la cultura alta, narcisistica, autoreferenziale degli intellettuali all’italiana. In teatro ha promosso un’audace convivenza di forme, dal monologo alla canzone, dalla pièce di prosa fino ai bis con la chitarra. E volta per volta, a seconda della necessità, la sua parola si è fatta sberleffo, richiamo, dileggio, emozione, disincanto, amarezza. Si è sentito per anni insieme a un’intera generazione e poi di colpo solo, sempre più solo. Credeva di aver conquistato una certa opinione pubblica ma poi l’ha sentita sempre più distaccata, impermalosita, alla fine persino polemica. In compenso, in oltre quarant’anni di carriera, ha continuato a scoprire nuovi interlocutori e sempre nuovo pubblico, divenendo intramontabile campione d’incassi a teatro e, a sorpresa, di nuovo gran venditore di dischi alla svolta del secolo. Ma come si costruisce, nel tempo, un intellettuale vero?
Pubblicato il: 01/01/2020 da Skatèna