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The Cramps: 40 anni di “Psychedelic Jungle”

The Cramps: 40 anni di “Psychedelic Jungle”
I’ve got a black skin suit/Alligator shoes
Now I found success/And I paid my dues
Well everything is fine/But I can’t find my mind

 

di Karol Lapadula

Dopo aver esordito con il magnifico Songs The Lord Taught Us del 1980, a maggio dell’anno seguente i Cramps danno alla luce per la I.S.R. Records il loro secondo album Psychedelic Jungle, sicuramente uno dei loro parti musicali migliori, trattandosi di una release energica ma dai toni sarcastici e giocosi, contenente tra l’altro alcune delle loro tracce più amate ed apprezzate di sempre, il tutto immerso in un’atmosfera da cocktail acido a base di garage-punk, horror B-movies e rockabilly in salsa voodoo.

La copertina di Psychedelic Jungle dei Cramps è una foto scattata da Anton Corbijn.

La produzione di Psychedelic Jungle viene affidata a Nigel Reeve, anche se poi è Poison Ivy, nella sua solita veste di factotum della band, ad occuparsi della maggior parte del lavoro specialmente in fase di missaggio: le 14 tracks vengono tutte registrate agli A&M Studios di Hollywood, California, nel mese di gennaio 1981.

Il titolo del disco, ma anche la sua copertina con le figure deformate e distorte dall’effetto “fisheye” dell’obbiettivo di Anton Corbijn, in aggiunta alla scritta “The Cramps” dai contorni in verde rigorosamente acido, suggeriscono che c’è del psichedelico, e in effetti quello che ne esce fuori a livello sonoro è un garage rock grezzo ma lisergico, condito da sprazzi di blues viscerali: sicuramente un trip seducente e senza eguali attraverso una musica disturbata, malata, deviata, magnetica, spesso citazionista, ma non per questo meno coinvolgente ed attuale.

Molto si deve anche alla presenza della chitarra crepitante di Kid Congo Powers (sì proprio lui, quello dei The Gun Club e di Nick Cave and the Bad Seeds), che in questo disco subentra a Bryan Gregory.

  • Più che una giungla psichedelica, una giungla psicotica. Nonostante il fisheye utilizzato da Anton Corbijn per lo scatto di copertina ci voglia illudere di poterci trovare dentro un sogno byrdsiano virato in nero, il secondo disco di Lux e Ivy […] è un caleidoscopio dove ogni specchio è stato verniciato di nero e i piccoli prismi di vetro colorato sono stati sostituiti dalle verdi putrescenze fosforescenti dei fuochi fatui. Il suono marcio dei Cramps è funereo e greve, crepitante e malsano, si trascina lento e ricurvo tra le sterpaglie mentre il tacco cubano di Lux affonda tra i fanghi al fosforo in cui sprofondano i cumuli di terra rimossa. Tutto è un rantolare primitivo e sinistro di spettri rock ‘n’ roll, di zozzi stomp da casa infestata, di rigurgitanti e rattrappiti swamp blues da notte delle streghe. (Reverendo Lys)
  •  Le cadenze sono catatoniche, come deformate dalla lente corrosiva dell’acido (si ascoltino “Can’t Find My Mind” o la paludosa “Caveman”), giustificando così l’allusione alla psichedelia contenuta nel titolo. Non a caso, in diversi frangenti sembra di ascoltare dei 13th Floor Elevators corretti con dosi massicce di John Lee Hooker (“Under The Wires”). (Onda Rock)

Psychedelic Jungle vede i Cramps produrre e suonare a ritmi meno serrati, dunque più placidi e lenti, mantenendosi su un rockabilly speziato che a volte prende spunto da alcuni pezzi del buon vecchio e glorioso trash garage degli anni Sessanta: il culmine lo si raggiunge con il rantolio mortifero di Goo Goo Muck, una cover dell’oscuro classico di Ronnie Cook and the Gaylads, che suona come sciroppo velenoso su una pila di frittelle unte.

Di seguito, Goo Goo Muck nella versione originaria di Ronnie Cook:

La band, nata a Sacramento (California) da uno di quegli incontri perfettamente alchemici che capitano rare volte nella vita, e in tal caso riguardante due personalità fuori dal comune (oltre che collezionisti di vinili introvabili), il cantante Lux Interior e la chitarrista e occasionalmente anche bassista Poison Ivy, una delle coppie più fighe, carismatiche ed affiatate che la storia del rock abbia mai conosciuto (non a caso i Cramps si sciolsero con la morte di lui avvenuta a febbraio del 2009), nel corso degli anni è riuscita ad ammaliare orde di giovani punk (e non solo). Geniali e sempre un passo oltre, dissacranti e dirompenti, i Cramps non solo rientrano a pieno titolo nella prima ondata del movimento punk rock che faceva capo al noto locale CBGB’s di Bowery Street nel Lower East Side di Manhattan (e questo è evidente nell’energia con cui hanno affrontato sia le produzioni che le esibizioni dal vivo), ma sono anche annoverati tra i pionieri dello psychobilly: infatti nella loro carriera hanno riesumato tutta una serie di brani e suoni ombrosi e dimenticati provenienti da generi appartenenti ad altre epoche, in primis il rockabilly, il rock’n’roll e il country dei mitici anni ’50 e ’60, per cui la loro musica è un fantastico viaggio che parte dal rock primigenio e panico per giungere al post-moderno e alla new wave, passando per il garage punk più sporco, arrivando ad inventare anche uno stile musicale che porta esclusivamente il loro marchio, il voodoobilly.

Di seguito, un eccezionale live dei Cramps a Bourges (1 aprile 1986):

Pubblicato il: 31/03/2021 da Skatèna