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Robert Smith: “Quando uscì Faith, non avevo fede in niente e pensavo che andare avanti fosse del tutto inutile”

Robert Smith: “Quando uscì Faith, non avevo fede in niente e pensavo che andare avanti fosse del tutto inutile”

Catch me if I fall, I’m losing hold

Can’t just carry on this way

And every time I turn away

Lose another blind game

 

Il 14 aprile 1981 i Cure pubblicavano – per la Fiction Records in Europa e per la Polydor negli Stati Uniti – il loro terzo album Faith.

La copertina di Faith raffigura l’immagine molto sfocata di un’abbazia avvolta nella nebbia.

  • Se Seventeen Seconds era l’aria, e Pornography sarà terra infuocata, Faith è l’acqua. Un disco di una stasi realmente annichilente, che suona come impercettibili sussurri biascicati all’albeggiare. È il vuoto, è la stanchezza, tra la rinuncia e il lamento, è una profondità misteriosa come un anonimo utero senza fondo. Robert Smith compone la sua opera più misantropica e buia, in un momento di estremo distaccamento dalla realtà. Faith è un’illusione dentro un’illusione, una vita incastrata in un sogno, o forse in un’altra vita. Faith è il vuoto prima dell’infinito. Morbosa fascinazione per l’immobilità. (Storia della Musica)
  • Un sofisticato esercizio di produzione e di costruzione di un’atmosfera, tetro e spesso maestoso. All’inizio magari non vi piacerà, ma poi vi causerà dipendenza. (Adam Sweeting)
  • Un disco certamente deprimente, ma anche uno dei più belli e sottovalutati album mai pubblicati dai Cure. (All Music)

L’album fu preceduto dal singolo Primary, dato alle stampe il 17 marzo 1981.

Primary venne suonato per la prima volta durante il Seventeen Seconds Tour, ma aveva come titolo Cold Colours, e il testo e la linea di basso erano totalmente differenti: la canzone veniva introdotta come tributo a Ian Curtis dei Joy Division, morto suicida mentre la band era in tournée.

Faith riscosse un moderato successo commerciale ricevendo critiche ambivalenti, e viene spesso messo in relazione con l’album successivo, Pornography, di cui anticipa, in forma attenuata, le atmosfere goth e malinconiche.

Come il titolo suggerisce, il tema portante dell’album è la perdita della fede e il desiderio di ritrovarla.

Avevo 21 anni, ma mi sentivo vecchio. Mi sembrava che la vita non avesse un senso. Non avevo fede in niente e pensavo che andare avanti fosse del tutto inutile – Robert Smith

Smith stava attraversando un periodo difficile e tormentato, era reduce da un tour lungo ed estenuante per l’Europa, tra date, fan in estatico tripudio e, come spesso accade quando si raggiungono le vette del tanto agognato successo, consumi esagerati di cocaina e alcool. Tutto ciò si era riversato nella musica dei Cure, che infatti stava divenendo via via sempre più oscura e claustrofobica (La Stampa).
Il pubblico era totalmente rapito durante i loro concerti, eppure Robert si sentiva solo e perso, per cui in lui cominciò a farsi impellente la necessità di trovare un sostegno cui aggrapparsi, che fosse in grado in qualche modo di dargli speranza e anche forza per affrontare tutto quel groviglio di emozioni che gli tormentava l’anima. 
Ma la musica, si sa, è arte magica e di gran portento, capace di smuovere le pietre e dunque di compiere prodigi: anche quando è profondamente melanconica e tetra, può mostrare una via d’uscita, una luce al malessere che ci divora, costringendoci a guardarci dentro, ad affrontare le nostre paure, per superarle ed uscirne più consapevoli e, chissà, magari migliori.
La musica riveste dunque un ruolo di guida catartica, divenendo essa stessa la fede, che può salvarci dall’angoscia e dal senso di vuoto che si può provare pur essendo incastrati in una marea di persone in adorante delirio.
Credo che tutto questo sia stato magnificamente rappresentato da Faith e dalle 8 tracce che lo compongono.

 

Pubblicato il: 14/04/2024 da Skatèna