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The Smiths – The Queen is Dead

The Smiths – The Queen is Dead

I don’t bless them
Farewell to this land’s cheerless marshes
Hemmed in like a boar between arches
Her very Lowness with a head in a sling
I’m truly sorry – but it sounds like a wonderful thing

 

di Skatèna

 

16 giugno 1986: gli Smiths pubblicano il loro terzo album The Queen Is Dead (Rough Trade Records).

Il disco raggiunse la posizione numero 2 nella classifica dei dischi più venduti in Inghilterra e la 70 in quella americana.

  • Considerato la pietra miliare degli Smiths, “The Queen Is Dead” è un disco che sopravvive all’usura musicale del tempo, con una miscela raffinata e di grande impatto sia nei testi che nelle parti melodiche e musicali. (Rockol)
  • La definitiva consacrazione degli Smiths arriva nel 1986, quando il gruppo
    riesce a registrare il suo album migliore, “The Queen Is Dead”, sotto la supervisione di Stephen Street (futuro decano del britpop con i Blur) che già aveva preso parte alle sessioni di “Meat Is Murder”. L’album arriva nei negozi nel giugno 1986, scalando rapidamente le classifiche di vendita, anche grazie agli splendidi singoli che gli fanno da traino, in particolare la bellissima e struggente “The Boy With The Thorn In His Side”, “Bigmouth Strikes Again”, “Panic” (famosissima la sua fatwa ai danni del popolo delle discoteche e della loro musica, destinata ad alimentare il solito vespaio di polemiche mediatiche) e “Ask”, queste ultime due date alle stampe qualche mese dopo la pubblicazione dell’album e non incluse nella sua tracklist.
    Il disco doveva originariamente intitolarsi “Margaret On The Guillotine” (ennesima stoccata con stile mordace alla Thatcher), a testimonianza di un’insofferenza sempre più tragica e inevitabile nei confronti di un paese decaduto sia dal punto di vista morale che da quello politico. Ma sarebbe riduttivo interpretare il titolo e l’opera nel suo insieme in una chiave esclusivamente (anti)britannica, la crisi cui gli Smiths fanno riferimento è, in un certo senso, molto più generale e allude al crollo progressivo e ineluttabile di tutte le illusioni, di tutte le grandi narrazioni sociali (la patria, l’impero, il partito, la rivoluzione sessuale, Dio, la stessa musica) che avevano sostenuto e imbastito la retorica collettiva dei grandi movimenti libertari dei decenni precedenti, schiacciandone poi le tuonanti promesse contro la dura e fredda parete di una esistenza sempre più scissa e drammaticamente consegnata alla sua solitudine individuale. (Onda Rock)

 

Pubblicato il: 16/06/2020 da Skatèna