La dj palestinese Sama’ Abdulhadi arrestata per una festa techno in luogo sacro all’Islam
di Skatèna
La dj palestinese di fama internazionale Sama’ Abdulhadi, nota soprattutto nell’ambiente della musica elettronica, è stata arrestata con l’accusa di “offesa alla religione” per la “profanazione” del sito sacro all’Islam di Nabi Musa.
Riporto l’articolo uscito su Repubblica ieri, 28 dicembre, recante la firma di Sharon Nizza
GERUSALEMME – Una festa techno nel cuore del deserto della Giudea è al centro di una polemica che sta infiammando la piazza palestinese ed è degenerata fino a portare all’arresto di Sama’ Abdulhadi, 29 anni, la prima Dj donna palestinese, un nome di fama internazionale nella scena della musica elettronica.
Sabato sera centinaia di giovani palestinesi hanno partecipato a una festa all’insegna di musica e alcool tenutasi in un luogo non convenzionale, Nabi Musa, che secondo la tradizione musulmana è il sito della sepoltura del profeta Mosè. Le immagini della festa che circolavano sui social hanno suscitato grande scandalo, non certo per la violazione delle restrizioni Covid, ma per quella che è stata considerata da molti una profanazione di un luogo sacro per l’Islam. Numerosi palestinesi sono accorsi durante la notte per cacciare “i cristiani e gli infedeli” – così sono stati appellati i giovani dal gruppo giunto per il repulisti.
Nabi Musa, che si trova a pochi chilometri da Gerico e a mezzora di guida da Gerusalemme, è un complesso in cui si trovano anche una moschea e un albergo, ristrutturato di recente nell’ambito di un progetto del valore di 5 milioni di dollari, finanziato dall’Unione Europea e supervisionato dal ministero del Turismo palestinese, con l’obiettivo di incentivare il turismo locale.
Ieri si è tenuta nel sito una preghiera di fedeli musulmani, che hanno poi dato alle fiamme gli arredi delle camere dell’hotel, sostenendo che vi si siano svolti “atti impuri” durante la festa.
Gli organizzatori dell’evento sostengono di avere ottenuto l’autorizzazione dalle autorità competenti, ma sia il ministero del turismo sia quello del Waqf (l’autorità preposta alla gestione dei luoghi sacri per l’Islam, compreso Nabi Musa) hanno negato, addossandosi a vicenda la responsabilità, tanto che il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha istituito una commissione d’inchiesta. In una dichiarazione alla stampa locale, il ministro degli Affari religiosi, Hussam Abu al-Rub, ha affermato che “quello che è accaduto è osceno. Non staremo in silenzio e perseguiremo chiunque vi abbia preso parte”.
La Dj Sama’ Abdulhadi, la star della serata ripresa alla consolle nei numerosi video in circolazione, è stata arrestata ieri sera dalla polizia palestinese a Ramallah con l’accusa di “offesa alla religione”. I partecipanti si sono calati nell’oblio per paura di ritorsioni, ci conferma Sami (pseudonimo) in conversazione con Repubblica da Ramallah, che era presente. “È assurdo quello che sta accadendo per una semplice festa”, ci dice al telefono. “Il posto è stato scelto per la sua location suggestiva nel mezzo del deserto. Adesso improvvisamente tutte le autorità fanno a gara a condannare l’evento per non perdere il consenso della piazza in collera, invece di difendere il nostro diritto ad avere una vita”.
La famiglia di Abdulhadi ha rilasciato oggi pomeriggio una dichiarazione in cui sostiene che “Sama’ sta producendo dei video sulla musica elettronica in Palestina, filmati in siti archeologici. Ha ottenuto il permesso dal ministero del Turismo, considerato che le riprese sarebbero state fatte nel cortile, che è separato dalla moschea e non è sotto la giurisdizione del Waqf”.
Nabi Musa è un Maqam, ovvero un santuario costruito su un luogo che si considera la tomba di una figura religiosa per l’Islam. Costruito in epoca mamelucca, è stato la meta di un pellegrinaggio di fedeli musulmani che si svolgeva tradizionalmente in concomitanza con la pasqua cristiana, una tradizione terminata dagli inglesi nel 1937, durante il mandato britannico a seguito di episodi violenti che si erano verificati durante le celebrazioni. Né la Giordania, che ha controllato il sito tra il 1948 e il 1967, né Israele che ha la giurisdizione sul luogo oggi – pur essendo gestito dall’Autorità Nazionale Palestinese – hanno ripreso la tradizione del pellegrinaggio se non in alcune occasioni sporadiche.
Pubblicato il: 29/12/2020 da Skatèna