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SuperLega: parte l’assalto finale dell’ultraliberismo al calcio

SuperLega: parte l’assalto finale dell’ultraliberismo al calcio

di Alessio Ramaccioni

Una Lega, o meglio una SuperLega di venti squadre: quindici “fisse”, e sono i “fondatori”. Le altre cinque invitate ogni anno con una “wild card” sulla base di non meglio precisate caratteristiche di merito ottenute nel corso della stagione precedente. Un sistema a parte, estraneo a UEFA, FIFA e leghe nazionali, che intende massimizzare i profitti e, ovviamente, dividerseli. Anche se un ritorno di liquidità al movimento calcistico “normale” dovrebbe essere assicurato. E la massimizzazione sarebbe clamorosa: dai 3 miliardi, ad esempio, che la UEFA tira fuori dalla Champion’s League si arriverebbe intorno ai dieci a stagione. Una manna dal cielo, in epoca di pandemia, lockdown, stadi chiusi e crisi finanziaria. Questo, in estrema sintesi, il progetto di SuperLega europea di cui si parla ormai da tempo e che, tra ieri notte e questa mattina, è stato ufficializzato dai “fondatori”. Sei club inglesi – Chelsea, Tottenham, Manchester City, Manchester United, Liverpool ed Arsenal -, tre italiani – Juventus, Milan ed Inter – e due spagnoli: Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid. Secondo le indiscrezioni anche due club francesi sarebbero pronti ad entrare nel progetto.

Questo il primo nucleo di società, vere e proprie “big” europee, a cui dovrebbero quindi aggiungersene altre tre. A capo di questa SuperLega c’è Florentino Perez, presidente del Real Madrid, il vice presidente è Andrea Agnelli, che si è dimesso dalla guoda dell’ ECA (European Club Association), un cartello in cui erano rappresentate 256 società calcistiche europee. Il programma è quello di, una volta definita la struttura della Lega – organizzare questo “super campionato europeo”: die gironi da dieci, poi semifinali e finali. Partite di livello altissimo, i migliori giocatori del pianeta sempre gli uni contro gli altri. Spettacolo e show più che sport e competizione, con i diritti televisivi alle stelle e – presumibilmente – i biglietti dei vari stadi. Un progetto che punta molto al modello NBA americano, per capirsi.

La risposta delle istituzioni calcistiche è stata oppositiva e veemente: dalla UEFA alla FIFA, passando alle Leghe e federazioni nazionali, e finendo addirittura ad alcuni governi nazionali, il “no” è stato netto e granitico. Addirittura, per le squadre “ribelli”, è arrivata una sorta di minaccia: fuori dai campionati nazionali fuori dalle competizioni europee, addirittura niente nazionale per i calciatori tesserati dai club membri della SuperLega. Altrettanto veemente la risposta di alcuni addetti ai lavori come l’ex allenatore dello United Alex Ferguson, oppure come il suo ex – altrettanto storico – calciatore Gary Neville, che ha definito il progetto come “criminale”. In Italia, tra gli altri si è espresso Marco Tardelli, e non è l’unico. Voci tutt’altro che isolate: anche la stampa di settore è stata decisa nel condannare il progetto: il calcio non è solo business.

Ed invece l’operazione sarebbe – ed attenzione al condizionale – esclusivamente una operazione di business. Lo spiega bene il proprietario del Manchester United, Joe Glazer: «Mettendo insieme i più grandi club e giocatori del mondo ad affrontarsi per tutta la stagione, la Super League aprirà un nuovo capitolo per il calcio europeo, assicurando una competizione e strutture di prim’ordine a livello mondiale, oltre a un accresciuto supporto finanziario per la piramide calcistica nel suo complesso». Ovviamente la frase che interessa è l’ultima del ragionamento. Non è un caso che nove tra le squadre più indebitate del globo (vedi immagine) siano tra le promotrici della lega. E non è nemmeno un caso che la multinazionale di servizi finanziari JP Morgan abbia già annunciato di voler finanziare il progetto con almeno 3,5 miliardi di euro. Per la cronaca, il titolo della Juventus è schizzato del +6% dopo l’annuncio ufficiale della nascita della SuperLega.

SuperLega

Cosa c’è dietro? Business e profitto, come abbiamo ampiamente illustrato. Che, unito alla crisi innescata dalla pandemia e ai debiti pregressi, sta creando le condizioni per una tempesta perfetta. Ma, nonostante l’impressione, il tentativo potrebbe essere più sottile di quello di una semplice “rottura”: l’interlocutore infatti è sempre l’istituzione calcistica. La Uefa in primis, che sta approvando in questi giorni la riforma della Champion’s League: la massima competizione continentale si allargherà a 36 squadre (dalle 32 attuali) e vedrà sostanziali modifiche al calendario,  che prevederà 10 partite garantite nei gironi anzichè le attuali sei. Un modo per giocare – e capitalizzare – di più, che però soddisfa solo in parte le richieste avanzate dalla ECA, che chiedeva di tutelare la partecipazione dei “club storici” a prescindere dai piazzamenti. Proposta respinta – ovviamente – dalla maggioranza dei club: ma che cos’è la SuperLega se non un modo clamoroso e roboante di garantire un costante ingresso di danaro sempre alle stesse squadre?

Il sospetto che però ci si trovi di fronte ad un processo in atto e non ad una scelta definitiva, ad un tentativo di “ricatto” nei confronti dell’Uefa, c’è. E lo conferma, ad esempio, il comunicato della Juventus, che dice: “I club fondatori faranno tutto il possibile per realizzare il progetto nel più breve tempo possibile. Tuttavia, la Società non può al momento assicurare che il progetto sarà effettivamente realizzato né prevedere in modo preciso la relativa tempistica. La Società non dispone quindi allo stato attuale di tutti gli elementi necessari al fine di svolgere valutazioni di dettaglio sull’impatto che la Super Lega potrà avere sulle sue condizioni e performance finanziare ed economiche”. Insomma, lo vogliamo fare ma non sappiamo ne se, ne quando ne come si farà. A noi pare questo, il senso.

Resta, ovviamente, il senso di una operazione ignobilmente speculativa, che fa sparire o quasi sport, competizione, merito, passione e che appare interessata solo al profitto. Un approccio perfettamente in linea con il metodo piratesco del capitalismo d’assalto di questi anni. Un sistema in crisi che, invece di ridimensionarsi, prova a sopravvivere rilanciando continuamente, spingendo sull’acceleratore della speculazione, non avendo alcun ritegno a fagocitare tutto quel che può pur di arraffare sempre di più. Lo abbiamo visto avvenire dopo la crisi sistemica del 2008, lo vediamo ora nel calcio, il settore più mediaticamente colpito dagli effetti della pandemia (e già in crisi da prima, lo ripetiamo). Ci sembra quasi surreale dirlo, ma per una volta possiamo fare nostre le parole della UEFA: “Chiediamo a tutti gli amanti del calcio, tifosi e politici, di unirsi a noi nella lotta contro un progetto del genere se dovesse essere annunciato. Questo persistente interesse personale di pochi va avanti da troppo tempo. Quando è troppo è troppo”.

Pubblicato il: 19/04/2021 da Alessio Ramaccioni