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Intervista a Muriki: il nuovo omonimo EP tra afro-funk e tradizioni del Mediterraneo

Intervista a Muriki: il nuovo omonimo EP tra afro-funk e tradizioni del Mediterraneo

di Karol Lapadula

Ho avuto il piacere di intervistare Attilio Errico Agnello, capofila del progetto Muriki, il cui nuovo omonimo EP, sulle migliori piattaforme digitali dal 22 giugno scorso, è stato pubblicato da Redgoldgreen in collaborazione con “Programmazione Puglia Sounds Record 2020/21”.

Un progetto che ruota attorno ai ritmi e al calore dell’afro-funk, cinque tracce che seguono il modello standardizzato dell’esposizione tematica e dell’improvvisazione. Temi strumentali si coniugano con la contaminazione di ritmi e suoni dell’Africa e dal Mediterraneo, dove i testi nascono da un approccio ritmico all’uso della parola cantata, dalla ricerca lessico/etimologica oltre che sonora del linguaggio usato.

L’EP è stato anticipato dal videoclip di Involution che vede il feat. di Valentina Bausi.

Il nome Muriki, che cosa significa e a cosa fa riferimento?

Il nome Muriki rimanda a una specie di primati acrobati della foresta atlantica brasiliana, il nome corretto è murichi ma a me con la K suonava meglio… non è solo una questione di suono, nelle mie cose cerco sempre di valorizzare dei contenuti che poi mi piace comunicare e queste scimmie mi hanno colpito per le loro peculiarità sociali: sono una specie con un forte senso di comunità, sono solidali tra loro, vivono senza competizione e senza conflitti e idealmente ho scelto questo nome perché mi piace pensare di appartenere a quella categoria di esseri umani che quantomeno cercano di comportarsi come i Muriki.

Due binari corrono paralleli alla base della tua visione: da un lato la musica strumentale, in cui risaltano i fiati (nello specifico sax e tromba) e le percussioni; dall’altro i testi dal valore sia comunicativo che ritmico/sonoro. Entrambi partono da una base comune, rappresentata da elementi culturali propri della tradizione mediterranea, del Salento in particolare, per arrivare a incontrare il funk africano. Come mai questa scelta?

Il suono e i testi di Muriki sono il risultato di una ricerca ancora aperta che vive all’interno di una stratificazione di pregresse esperienze musicali, diverse tra loro ma accomunate da delle costanti. Al centro del mio modo di comporre c’è il suono del sax, unito in sezione con altri fiati e un modo di immaginare le melodie con un timing percussivo nel quale mi riconosco da sempre e che si riversa nel sound finale della band dove è fondamentale il ruolo della sezione ritmica e dei fiati per il loro modo di essere complementari… I testi sono frutto di ricerca e di studio del dialetto antico della mia città di origine Brindisi… Come ho detto prima, cerco nelle parole significati e contenuti e poi ritmo e melodia che nella mia testa girano come se stessi improvvisando delle frasi al sax… tutto ha a che fare con la modalità espressiva che appartiene ai popoli del Mediterraneo, melodie modali e ritmi africani e il risultato finale non è una scelta stilistica ma radicazione a una cultura millenaria che conservo e grazie al groove difendo dall’omologazione.

Nel videoclip di Involution, realizzato da Gianluca Distante, tra ballerini che volteggiano tra canne di bambù e un falò, spicca una ragazza vestita di bianco che balla in preda al ritmo delle percussioni di Tupachanga Cuba, quasi fosse una tarantolata. Qual è il significato della canzone? Quella danza è portatrice di un qualche messaggio? Se sì, quale?

Quando ho pensato al video di Involution cercavo una stretta correlazione con il testo che parla appunto di una involuzione mentale che deriva, nell’estremizzazione della società consumistica, da una perdita di identità e di libero arbitrio, di fatto come diceva Fela da una colonizzazione mentale, una schiavitù dalla quale possiamo affrancarci solo con la piena consapevolezza del problema… le immagini hanno tradotto questa schiavitù nel dialogo tra prigionieri e carcerieri, in una danza africana che ricorda i riti di possessione e guarigione dei tarantati salentini dove l’unica cura era la musica e la danza ossessiva, quindi le immagini raccontano sia la prigionia, ma anche la liberazione di chi è schiavo di questa involuzione.

Nell’EP c’è una canzone il cui titolo, immagino, sia un termine dialettale… cosa significa? A quale riflessione vuole portare?

Mmasùna è una parola che dalle mie parti non ricorda più nessuno, l’ho trovata per caso nelle mie letture dialettali con il significato che ha a che fare con il concetto di radunare e nascondere e un suono esotico, ne è venuto fuori un testo che parla di attesa e viaggio, a volte unica strada praticabile, in un mare che raduna masse di disperati e purtroppo spesso nasconde nelle sue profondità il delitto dell’indifferenza, del rifiuto all’accoglienza e dello scarto, una riflessione sulle condizioni miserevoli dei migranti che gli italiani hanno dimenticato.

Quali sono gli artisti a cui ti sei ispirato?

A rischio di essere immodesto ma giusto a livello di ispirazione o più correttamente aspirazione, quando scrivo un testo penso a come forse l’avrebbe detta Marley, al timing di come l’avrebbe cantata Fela se fosse nato dalle mie parti e al suono di come l’avrebbe suonata al sax Manu Dibango e molto altro ancora che mi suona in testa e che è frutto dei miei ascolti preferiti.

C’è un artista o un gruppo con cui ti piacerebbe collaborare?

Non c’è al momento un artista o un gruppo particolare con il quale mi piacerebbe collaborare anche se spesso mi vengono in mente tanti amici e colleghi anche sconosciuti con i quali spero per le prossime cose di poter condividere e sviluppare un’idea musicale o un tema di cui parlare. Ce ne sono tanti che stimo moltissimo dalle mie parti, è una cosa alla quale sto pensando…

Ti ritieni social o anti-social?

Se stiamo parlando dei social media devo dire che non condivido molte delle dinamiche che si muovono all’interno di questi canali, non mi piace che siano il più delle volte vetrina di edonismo o megafono di disinformazione malata… ma oltre a questo ci sono anche contributi positivi, culturali e civili che mi piace seguire. Posso dire di essere social ma non a tutti i costi.

Pensi che tramite Facebook o Instagram, per esempio, un prodotto musicale possa “girare” ed essere pubblicizzato più facilmente?

Facebook e Instagram sono i canali social attraverso i quali stiamo promuovendo il disco Muriki e in generale penso che siano uno strumento utile e accessibile a tutti, che permette anche con poche risorse di far conoscere il tuo prodotto a livello globale; certo per far sì che funzioni a dovere, bisogna stare dentro le regole stringenti della comunicazione via social cercando di stare attenti al rischio di una sovraesposizione mediatica. Penso ci sia bisogno di un equilibrio comunicativo e di contenuti di qualità più che di quantità.

Progetti musicali in cantiere o eventi musicali a cui prenderai parte nel prossimo futuro?

Nell’immediato futuro conto di portare Muriki e il suo repertorio live a suonare in giro dal vivo, spero in tal senso di ricevere riscontri positivi e soprattutto spero per tutti in un ritorno stabile alla normalità… poi sto iniziando a pensare alle prossime canzoni ma con calma….

Come ti vedi tra 10 anni?

Tra 10 anni non lo so di certo, in un’epoca in cui tutto cambia fin troppo velocemente, pensare così a lungo termine forse non ha senso, penso al futuro prossimo e mi piacerebbe ci fosse una crescita, tranquilla ma sempre costante, una crescita nella qualità della musica che si possa tradurre in numeri reali e fedeli di persone che seguono le produzioni e i live di Muriki.


Intervista realizzata da Skatèna per Radio Città Aperta.

Tutte le immagini sono state gentilmente concesse da Nextpress.

Pubblicato il: 05/07/2021 da Skatèna