Genova 2001: quello che deve restare 20 anni dopo
Sembra passato a volte un attimo, a volte una vita: il G8 di Genova, esattamente venti anni fa, creava i presupposti per quello che sarebbe avvenuto nei venti anni successivi. Nella politica, nella società, nell’economia. Ma anche nella percezione, individuale e collettiva, di una generazione che fu messa a tacere non appena aprì bocca, e che scoprì nel modo peggiore il volto brutale del potere. Quel che c’è oggi, ma sopratutto quello che non c’è, dipende anche da quel che avvenne in quei tre giorni.
di Alessio Ramaccioni
20 anni sono un periodo di tempo molto lungo. E’ successo di tutto, infatti, durante i 20 anni che ci separano dal G8 di Genova del 2001: mentre scriviamo queste righe, il 19 luglio di 20 anni fa, decine di migliaia di persone si preparavano a partecipare ad un evento globale, generazionale, che voleva ribadire la richiesta sempre più forte, ampia e diffusa di cambiamento. “Un altro mondo è possibile”: era vero, e non solo era possibile. Sarebbe stato necessario. Le ingiustizie sociali, l’emergenza ambientale e climatica, la precarizzazione dell’esistenza, le guerre, l’annullamento dei diritti anche in società “evolute e protette” come la nostra ci dicono quanto erano valide le ragioni di chi, in queste ore venti anni fa, si apprestava a riempire le strade di Genova. Un mondo in rivolta che, nel giro di tre giorni, è stato messo in ginocchio. Poi arrivò l’11 settembre per il KO definitivo. Si parla di una sconfitta generazionale, quando ci si riferisce a quei giorni. In realtà sono più di una, le generazioni sconfitte dal potere, dalla bramosia di profitto e dall’ingiustizia che dal 19 al 21 luglio del 2021 vollero far capire al mondo chi è che dettava le regole. La generazione di chi allora era adulto, e che aveva percepito che la sostenibilità del modello di sviluppo del capitalismo così come era non poteva che creare diseguaglianza, ingiustizia e devastazione in maniera esponenziale. La generazione di chi aveva vent’anni allora, e che credeva sul serio che “un altro mondo fosse possibile”. Furono loro, fummo noi ad essere presi a ceffoni e riportati alla realtà: per cambiare, dovrete sputare letteralmente litri di sangue, e nemmeno basterà, ci dissero chiaramente. La generazione di chi oggi ha venti anni, che si ritrova un mondo devastato, ingiusto, avvelenato da gestire. Tutto, o quantomeno molto, passa da quei tre giorni. Ed è sempre utile ricordare che a fare da giustiziere alle aspirazioni di quello che era un movimento globale fu l’apparato statale e repressivo italiano, che in quei giorni si tolse la maschera e mostrò, a chi si era scordato degli anni ’70 e ancor prima del fascismo, che anche da queste parti i diritti li sappiamo calpestare alla grande. E la cronaca – vedi Santa Maria Capua Vetere – ce lo ricorda puntualmente. In questi tre giorni Radio Città Aperta metterà in campo una serie di interventi e di approfondimenti per aiutare (ed aiutarci) a ricordare. Una scelta editoriale che vuole contribuire a fare il punto della situazione venti anni dopo e raccontare che le ragioni, in quei tre giorni, erano tutte da una sola parte: ed oggi è ancora più evidente. La parte di chi fu massacrato, umiliato, spogliato della propria dignità e addirittura ucciso, durante “la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda Guerra Mondiale”.