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Sulla scia di Bogotà, anche in Italia si dovrebbe depenalizzare il writing?

Sulla scia di Bogotà, anche in Italia si dovrebbe depenalizzare il writing?

 

Ho scelto come immagine in evidenza per questo articolo una foto relativa a un murales dello street artist modenese Luca Zamoc che ieri io e la mia amica Ilenia abbiamo ammirato nei pressi della metro C al Pigneto durante una passeggiata pomeridiana.

Mi sono documentata e ho appreso che il murales in questione e’ stato commissionato da Netflix per promuovere la serie tv Suburra.

Zamoc a tal proposito ha affermato: “Mi è stato chiesto da Netflix quale fosse la mia interpretazione della Suburra ed è stato da lì che io ho ideato la figura della lupa capitolina con tre adulti, invece che i classici due bambini Romolo e Remo, per enfatizzare il concetto di corruzione. I tre personaggi che rappresentano i tre grandi poteri di Roma che sono la Chiesa, lo Stato e la Criminalità. Tutti e tre hanno la loro voce in capitolo in questo atto di ‘spremere’ la lupa“.

Si tratta della prima opera di arte urbana realizzata per uno scopo pubblicitario in Italia.

Ma veniamo all’argomento principe del presente articolo, e cioè alla questione riguardante la “legalizzazione della street art” sulla scia di quanto sta avvenendo negli ultimi anni a Bogota’, capitale della Colombia.

Per entrare nel vivo dell’argomento, il mio consiglio è quello di vedere Bogostreets, la serie di documentari di ARTE dedicati al mondo street della Colombia.

All’inizio di Tagguer la Calle 26, il primo episodio di Bogostreets, (https://www.rollingstone.it/tv/documentari/i-graffiti-di-bogota-arte-per-raccontare-la-politica/446174/), DJ Lu, writer colombiano, afferma che la Bogotà di oggi è cambiata rispetto a quella che era una ventina di anni fa: “l’effervescenza culturale che vediamo oggi, è legata ad un forte sviluppo demografico, unito al fenomeno della mondializzazione“.

Risultati immagini per diego felipe becerra

Dopo l’assassinio del giovane writer Diego Felipe Becerra da parte della polizia, nel 2011 l’ex sindaco di Bogotà, Gustave Petro, ha emesso un decreto per cui agli artisti di strada è stato permesso di dipingere senza limiti su alcuni muri (tranne ovviamente su monumenti ed edifici pubblici).

Quindi, se un tempo i graffiti sui muri di Bogotá erano considerati solo atti di vandalismo, “oggi le autorità incoraggiano questa pratica metropolitana” .

Grazie a tale depenalizzazione del writing, Bogotà ha dunque cambiato aspetto e si è trasformata in una vera e propria galleria a cielo aperto, un ottimo modo per esprimersi e per rendere visibili ai più anche le problematiche socio-politiche che affliggono la Colombia.

La situazione del writing in Italia.

Anche in Italia è arrivato il momento di depenalizzare il c.d. reato di imbrattamento?

E’ di pochi giorni fa, infatti, la proposta di legge che mira a depenalizzare i reati connessi al writing andando a modificare l’art.  639 c.p., il quale così recita:

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a centotre euro.

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.

Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio.

Con la sentenza di condanna per i reati di cui al secondo e terzo comma il giudice, ai fini di cui all’articolo 165, primo comma, può disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l’obbligo di sostenerne le spese o di rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna“.

La proposta di legge vuole dunque commutare i reati di “deturpamento e imbrattamento” in ammende fino a 10mila euro più il pagamento delle spese sostenute per il ripristino dei luoghi. Saranno di competenza del giudice di pace.
Si procede solo su querela di parte, tranne quando siano coinvolti beni di interesse storico e artistico, nei quali casi si procede d’ufficio.

Erasmo Palazzotto, deputato di SI/LeU, è il primo firmatario della proposta di legge. Egli ha collaborato con persone vicine al mondo dei writers, tra cui l’avvocato Domenico Melillo, che ha difeso vari writers finiti a processo e a sua volta street artist sotto il nickname Frode, la persona che più di ogni altra ha contribuito a scrivere il testo della proposta.

In una intervista, l’avvocato Melillo ha affermato che “le possibili soluzioni alle conflittualità tra istituzioni ed arte di strada vanno cercate in altri luoghi, piuttosto che nelle aule giudiziarie” e che “il maggior numero di procedimenti di questo tipo si celebrano a Milano“.

Su letture.org ho trovato un’interessantissima intervista all’avvocato Roberto Colantonio, autore del libro “La Street art è illegale? Il diritto dell’arte di strada” edito da Iemme.

Colantonio ritiene che “la Street art sia una forma di espressione creativa, non necessariamente artistica, un modo di comunicare che si caratterizza per avere un suo luogo ben preciso: gli spazi esterni, in prevalenza urbani. La Street art nasce nella strada, per la strada. La recente musealizzazione della Street art, consacrata (e osteggiata) per quanto riguarda l’Italia a partire dal 2016, ha aperto una crisi nell’ambito di una corrente nata dal basso, senza una direzione unitaria, in mille rivoli e direzioni, senza un supporto critico-storiografico, al punto che si è levata da più parti un lamento funebre della Street art”.

In realtà la Street art è più viva che mai e ne sentiremo parlare ancora per gli anni a venire. Essa diventa sempre più rilevante anche sotto il profilo giuridico, oltre che sotto il profilo socio economico.

Ma che tipo di rapporto esiste tra Street art e diritto d’autore? Premesso che non c’è una definizione giuridica di arte, Colantonio ritiene che, se la Legge sul diritto d’autore protegge “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.”, senz’altro le opere di Street art rientrano in questo ampio gruppo. Il diritto d’autore riconosce allo Street artist, come a qualsiasi altro creatore, dei diritti di natura morale, la paternità dell’opera e altri di contenuto patrimoniale. Un artista non guadagna soltanto dalla vendita della sua opera, ma anche dal concedere licenze di sfruttamento economico delle immagini tratte dal suo lavoro o nel farsi sponsorizzare, senza per questo perdere la sua libertà artistica.

Molti degli attuali artisti di strada vengono da altri campi, dalla musica, dall’ambiente dei videomaker, persino dalla pubblicità che ha “copiato” dall’arte di strada linguaggio e forme, come per gli spot su marciapiede realizzati con materiale biodegradabile e pagando un canone ai Comuni. Alcuni Street artist hanno dato vita, attraverso la riconoscibilità dei loro interventi, a dei veri e propri marchi di fatto e non semplici tag”.

Ma passiamo al profilo che più ci interessa relativamente all’argomento di cui al presente articolo, quello dei reati in cui potrebbe incorrere lo Street artist. Essi sono:
Imbrattamento, vandalismo, danneggiamento e occupazione della proprietà privata.

La legge penale non è affatto tenera con gli Street artists, probabilmente perché non ne comprende il “movente”. In un caso, i ragazzi dei centri sociali che cancellavano i murales di Blu a Bologna dietro sua indicazione sono stati denunciati per violazione di domicilio. Da ultimo in Italia uno Street artist che vive all’estero si è visto condannare a due anni di carcere, perché il processo si è svolto in sua contumacia e non gli si sono potute applicare le circostanze attenuanti che, in pratica, vengono date con larga mano”.

Se è vero che è possibile fare Street art legalmente, è anche vero però che una parte di essa resterà ribelle, disinteressata al guadagno e concentrata su un messaggio politico-sociale-culturale. La Street art “non è arte fatta per durare, nessuna opera umana lo è, ma murales e stencil meno delle altre. È un fatto che se un giorno noi e i nostri figli e nipoti ci troveremo a parlare di Street art, sarà avendo in mente le opere delle rispettive generazioni”.

 

Pubblicato il: 20/02/2019 da Skatèna