11 anni e non sentirli. La pillola abortiva e il caso Umbria [Intervista a Eleonora di “Obiezione Respinta”]
di Valentino De Luca
Sta facendo discutere la decisione presa dalla Giunta Regionale Umbra, guidata dalla Presidente Donatella Tesei (Lega), lo scorso 10 giugno con la quale si nega, con una decisione contraria rispetto alla precedente giunta di centro-sinistra, la possibilità di ricorrere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza tramite somministrazione della pillola RU486.
Questa decisione giunge al termine di un periodo, la diffusione del Coronavirus ed i conseguenti provvedimenti di lockdown, in cui alle donne è stato molto difficile accedere all’IVG, con diverse testimonianze di donne che sono state rifiutate da strutture ospedaliere, ufficialmente a causa del Covid.
La Regione Umbria, dal suo canto, dichiara di aver seguito le direttive ministeriali ed in particolare Infatti le indicazioni del 24 giugno 2010 “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza” e i pareri del Consiglio Superiore di Sanità del 18 marzo 2004, del 20 dicembre 2005 e del 18 marzo 2010 in cui viene ribadita la necessità di regime di “ricovero ordinario”.
A seguito del polverone, anche mediatico sollevatosi, la Tesei stessa si è dichiarata possibilista in caso di cambiamento di indirizzo da parte del Dicastero della Salute.
I 3 giorni di ricovero ospedaliero durante i quali effettuare l’interruzione di gravidanza comportano diversi problemi e quesiti di ordine anche morale nei confronti della paziente: come potrà giustificare alle persone a lei care (familiari-amici-parenti-conviventi) un’assenza così prolungata? Come potrà giustificare tali giorni di assenza dal lavoro al proprio datore? Per la donna diventa di fatto impossibile ricorrere all’aborto in maniera tale da rispettare il proprio diritto alla privacy, in una materia così intima e delicata.
E ancora: la donna che vuole ricorrere all’aborto dove verrà messa nei 3 giorni di degenza?
Numerose testimonianze di donne parlano di giorni passati nei reparti maternità affianco a donne in dolce attesa o che avevano appena partorito, creando un mix di sentimenti contrastanti all’interno della medesima stanza in cui ovviamente a sentirsi in difetto o a disagio era la donna che aveva scelto l’IVG.
Perchè a 11 anni dalla sua introduzione in Italia e con numerosi studi che ne confermano l’assoluta sicurezza, l’Italia è ancora restìa a garantire il cd “aborto farmacologico” a tutte le donne idonee a ricevere tale trattamento?
Come mai l’autodeterminazione sul proprio corpo e sulle scelte ad esso collegato paiono ancora un tabù insormontabile?
Per quanto riguarda una materia così delicata è giusto che vi sia una disparità di trattamento delle cittadine della Repubblica Italiana all’interno dello stesso territorio nazionale, con regioni che garantiscono assistenza da remoto, accesso alla pillola RU486, teleassistenza nei giorni successivi alle pazienti e regioni in cui ricorrere proprio all’IVG è un calvario fatto di burocrazia, medici e anestesisti obiettori, sensi di colpa indotti e pubblica vergogna?
A L’Ottavo Giorno, la trasmissione di approfondimento informativo di Radio Città Aperta, ne abbiamo parlato con Eleonora di Obiezione Respinta, associazione che si propone di monitorare e mappare la situazione in Italia sulla Interruzione Volontaria di Gravidanza.
Pubblicato il: 23/06/2020 da Valentino De Luca