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La liberazione di Silvia Romano ci ricorda chi siamo

La liberazione di Silvia Romano ci ricorda chi siamo

La liberazione della cooperante italiana viene accolta con gioia da tanti italiani: ma riappare anche la polemica velenosa, già espressa in vicende analoghe. Sul presunto riscatto pagato, sulla presunta conversione di Silvia Romano, sul fatto che “ma se stava a casa non era meglio?”.

di Alessio Ramaccioni

Silvia Romano è libera. E’ una buona notizia, che serviva in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo. La cooperante venticinquenne, rapita a fine novembre del 2018 in Kenya, è viva, sta bene e torna a casa. Un mezzo miracolo, visto quello che le è capitato: rapita da una banda di criminali nel villaggio di Chakama, dove lavorava come volontaria ad un progetto di sostegno all’infanzia, è stata poi venduta agli estremisti jihadisti somali di Al Shabab, che l’hanno portata a Mogadiscio. E lì è stata ritrovata dalla nostra intelligence, dopo un lavoro lento e difficile che ha visto la collaborazione dei kenyani, dei servizi segreti turchi e di quelli somali. Silvia è apparsa, all’ambasciatore italiano in Somalia Alberto Vecchi, che l’ha accolta, in buona salute: dal punto di vista fisico ed emotivo. Ripetiamo, un mezzo miracolo. Al Shabab – che ha una storia di rapimenti di cittadini stranieri in Somalia ed in Kenya – è una organizzazione di gente che sa essere cattiva, e Silvia avrebbe potuto anche fare una brutta fine. Rapita in Kenya, trasportata ad oltre mille chilometri di distanza, tenuta prigioniera per mesi senza dare notizie: si, poteva andare molto peggio. Ed invece è andata bene: sembra che la scorsa estate Al Shabab abbia contattato i servizi italiani, anche se la conferma definitiva del fatto che la giovane cooperante fosse viva è arrivata – sempre secondo indiscrezioni – a gennaio. La trattativa è poi è entrata gradualmente nel vivo, fino a concludersi nel mese di aprile. Fondamentale, come detto, sembra sia stato l’intervento dell’intelligence turca, molto strutturata in Somalia. Tutto bene, quindi: una giovane volontaria viene liberata e potrà tornare a vivere pienamente la sua esistenza, magari continuando ad aiutare il prossimo.

Ci interessa davvero sapere se Silvia, durante la sua permanenza in Somalia, si sia convertita all’Islam? E’ veramente importante sapere se sia vero (magari costretta, o magari no) che ha sposato uno dei suoi carcerieri durante la detenzione? E’ davvero così utile chiedere notizie – per poi lamentarsi – dell’eventuale riscatto pagato? Perchè purtroppo è quello che sta succedendo, e quello che avverrà ogni volta che si parlerà di Silvia Romano per i prossimi mesi, fino a quando qualcosa di più importante o di più “indignante” arriverà ad occupare le menti degli italiani. Insomma, le bandiere e le canzoni dal balcone sembrano decisamente appartenere al passato: nemmeno 30mila morti riescono ad attutire il rimbombo delle scandalizzate voci dei tantissimi – purtroppo – compatrioti per cui tutto sommato, se una ragazza di 25 anni partita volontaria viene rapita, beh “sono fatti suoi”. Anzi, stupisce quasi che fino ad ora a fare più rumore siano le espressioni di gioia piuttosto che le espressioni di sospetto e fastidio. E’ quasi un secondo miracolo: abbiamo ancora ben chiari nella memoria gli osceni commenti apparso sui social alla notizia del rapimento e poi della liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Offese irripetibili a cui fecero da “quadro” i commenti dell’illuminata destra italiana, che per ora – appunto miracolosamente – ancora non arrivano. Ma tranquilli, arriveranno: come arriverà la polemica sull’abito somalo indossato da Silvia e sulla sua possibile conversione. Elementi su cui si sofferma anche oggi perfino la stampa più “mainstream”: perchè purtroppo la domanda che turba i pensieri di tante persone in questo paese, temiamo che sia “ma davvero questa si è convertita? Ma davvero ha sposato un jihadista? Pensa che abbiamo pure pagato il riscatto!”. Saremo felicissimi di essere smentiti, per carità. E sappiamo che ci sono tante persone che sono realmente contente che il calvario di una ragazza sia finito, e sia tornata a casa viva. Ma la pancia profonda di questo paese oggi continua ad essere rabbiosa, spaventata, pronta all’indignazione, razzista, sospettosa e negativa. Anche dopo la stretta emotiva che ci ha imposto il coronavirus.

P.S. Visto che a noi piace molto il giornalismo ben fatto e l’informazione approfondita,  ci permettiamo di suggerire alle testate con più mezzi dei nostri una suggestione più interessante del vestito di Silvia o delle sue presunte scelte individuali. Per liberarla, sembra sempre più certo che i nostri servizi siano dovuti andare a chiedere aiuto all’intelligence turca. Perchè Erdogan ed il suo progetto imperialistico stanno passando per il Corno d’Africa?

Pubblicato il: 10/05/2020 da Alessio Ramaccioni