La Palestina torna nell’agenda politica internazionale, e a rimettercela sono i palestinesi
Il conflitto Israelo – Palestinese torna ad infiammarsi: i palestinesi si oppongono agli sgomberi nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme est, subendo una violenta repressione dagli apparati di sicurezza israeliani. Poi l’escalation: razzi da Gaza sulle città israeliane, bombe da Tel Aviv su obiettivi civili e militari nella Striscia.
di Alessio Ramaccioni
Non si parlava più di Palestina: il tema del diritto all’indipendenza ed alla libertà di milioni di palestinesi – a Gaza e nel West Bank – sembrava non interessare davvero più a nessuno. Nemmeno la proposta sfacciata, arrogante e brutale del premier israeliano Netanyahu di annettere ad Israele ampie porzioni di territorio di Cisgiordiana, rubandolo ai palestinesi, non aveva destato grandi reazioni dalle nostre parti. Con gli Stati Uniti di Trump assolutamente appiattiti sulle politiche colonialiste della destra israeliana, sembrava proprio che Bibi Netanyahu fosse ad un passo dal compiere l’ennesimo atto di violenza e di ingiustizia nei confronti del popolo meno considerato del pianeta. Eppure noi europei siamo sempre pronti ad indignarci per le lesioni – reali o presunte – dei diritti che avvengono in tutto il mondo. Abbiamo piagnucolato per il furto dei diritti dei poveri venezuelani, per poi scoprire che ad ogni elezione votano in massa per Maduro. Abbiamo sospirato per i diritti dei giovani ucraini di Euro Maidan, per poi scoprire che si trattava di un manipolo di neonazisti sostenuti dagli Usa e da noi stessi europei in funzione anti-russa. Insomma, bravissimi a farci scaldare il cuore per qualche vicenda che gli americani ci dicono essere degna di attenzione. Dei palestinesi, ovviamente, nessuna traccia: non è una “battaglia” interessante. Meglio il sostegno – senza alcun tipo di riflessione, di contestualizzazione, di analisi, di realismo politico, di onestà intellettuale – ad Israele, senza se e senza ma.
Questo l’atteggiamento della politica e dell’informazione italiana, e dunque di quasi tutta la società: eccezion fatta, ovviamente, per i soliti movimenti, associazioni, realtà politiche minoritarie storicamente a sostegno del popolo palestinese. Più qualche giornalista, ma sempre di meno. E dunque, via la Palestina dall’agenda: politica ed editoriale. Non che nel resto del mondo l’attenzione fosse di molto superiore: gli stessi paesi arabi, quelli storicamente a sostegno dei diritti del popolo palestinese, da anni stanno guardando altrove. La situazione geo strategica di quell’area è cambiata, ed il destino di qualche milione di persone senza diritti, senza terra, senza pace da anni non è interessante per nessuno. Nemmeno per chi li ha strumentalizzati per anni, come appunto molti paesi mediorientali. E dunque, i palestinesi sono soli. Questo si diceva, tra chi ancora ne aveva a cuore le sorti. Soli, a subire quotidianamente la violenza e la brutalità di una occupazione militare in Cisgiordania: la violenza dei coloni, che proseguono – sostenuti dal governo di Tel Aviv – ad insediarsi ed a rubare territorio ai palestinesi da anni. La violenza della burocrazia israeliana, a cui tanti palestinesi devono chiedere il permesso per andare a coltivare la propria terra. La violenza della presenza poliziesca israeliana, con posti di blocco continui che possono decidere di rimandare indietro il palestinese che va al lavoro, o che magari va in ospedale. Tutti fatti accaduti, documentati, quotidiani nel loro svolgersi.
Una narrazione unilaterale, piatta, detestabile per quanto ingiusta, a cui si allineano tutti: da questo punto di vista la politica italiana è imbarazzante, e lo si è visto ieri, alla manifestazione organizzata al Portico d’Ottavia, a Roma, a sostegno di Israele. C’erano tutti, dalla Lega al Pd, dal Movimento 5 Stelle a Forza Italia, da Italia Viva a Fratelli d’Italia: tutti a parlare del “diritto di Israele ad esistere”. Senza menzionare ovviamente il diritto della Palestina a farlo. Un approccio imbarazzante, perchè evidentemente frutto di pensieri opportunistici ed elettoralistici. Di Israele non si può parlar male: è l’unico governo al mondo a cui non è possibile fare una critica. Se critichi Israele, sei antisemita. In un contesto politico, editoriale ed emotivo di questo tipo, il destino della Palestina appariva segnato: un lento scivolare – quasi burocratico – nell’oblio, con Israele ad accaparrasi terre. E la rinuncia, forse momentanea, di Netanyahu al progetto di annessione di un terzo dell’attuale territorio palestinese era apparsa più un intoppo amministrativo che una scelta. Certo, l’elezione di Biden forse un pochino (ma poco poco) era limitante, per i progetti egemonici. Ma sappiamo bene come non esista ammininistrazione a stelle e strisce – di qualsiasi colore – che dica di no a Tel Aviv.
E visto che oggettivamente era rimasto solo, il popolo palestinese ha deciso di provare ad orientare il proprio destino. Di fronte all’ennesima ingiustizia, lo sgombero di alcune famiglie nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme est (da decenni lì residenti) a vantaggio di famiglie israeliane ha scatenato una reazione popolare forte, veemente. rabbiosa. Disperata. Manifestazioni, scontri, repressione, feriti, arresti, morti tra i manifestanti. Fino ad arrivare all’irruzione con lacrimogeni nella moschea di Al-Aqsa da parte dell’esercito israeliano. E a quel punto la situazione è degenerata del tutto: il movimento islamista Hamas, che dal 2006 governa la città-lager di Gaza ed il territorio della Striscia, ha deciso di intervenire. Centinaia di razzi “Quassam” sono stati lanciati in direzione di obiettivi israeliani, suscitando la scontata ed ormai rituale reazione dell’esercito e dell’aviazione di Tel Aviv. Bombe su obiettivi militari e strategici a Gaza city che ovviamente hanno causato vittime civili, come sempre. Ad oggi proseguono gli scontri a Gerusalemme ed in Cisgiordania, continua la violenta repressione israeliana, continuano a partire razzi da Gaza, continuano a piovere bombe sui civili della Striscia. Questa mattina si sta iniziando a parlare di operazioni militari dentro Gaza, in quel lager a cielo aperto che è la città governata da Hamas e stritolata dalle restrizioni imposte da Israele. Ovviamente la narrazione retorica e tossica a cui siamo abituati ha subito focalizzato la sua ipocrita attenzione sui razzi di Hamas, i quali ad onor del vero hanno storicamente un solo risultato: quello di attirare le bombe israeliane sui civili di Gaza. Centinaia di donne, uomini e bambini che muoiono ogni qual volta il movimento islamista decide di fare a braccio di ferro con il governo di Netanyahu, che ovviamente accetta subito il gioco: più c’è caos, più l’attuale primo ministro israeliano riesce a tenere in piedi i suoi governi sempre meno saldi.
Politica, strategia, tattica: tutto sulla pelle dei palestinesi. Ma la reazione agli sgomberi di Sheikh Jarrah, e tutto quello che ne sta conseguendo, hanno una valenza enorme. E’ un enorme NO all’occupazione di Israele, al tentativo ormai sfacciato di Tel Aviv di far sparire anche solo l’idea di Palestina. E’ un NO all’ipocrisia dell’Unione Europea, dell’Onu, dei paesi arabi, della Russia, di tutti coloro che sanno quel che da decenni avviene in quelle terre e non fanno nulla. E’ un NO a chi considera la questione palestinese un residuo della politica da centro sociale degli anni ’90, è un NO allo spregiudicato opportunismo di tanti politici in tutto il mondo, compresi i nostri. E’ un NO al tentativo di sotterrare una lotta che chiede libertà ed indipendenza e che è stata messa da parte perchè non più funzionale a nessuno. E’ un NO alla narrazione scandalosa che imperversa su tanta stampa, tra cui quella italiana, a cui forse è necessario iniziare ad opporsi. Perchè esiste un’etica nel fare giornalismo: ma quando si parla di Palestina ed Israele pare che se ne dimentichino quasi tutti.
Pubblicato il: 13/05/2021 da Alessio Ramaccioni