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RIFUGIO ATOMICO con FABRIZIO FALCIONI

Andrea Chimenti - Ti ho aspettato

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Overtourism: uno sguardo sul settore a pagamento del pubblico per i guadagni privati

Overtourism: uno sguardo sul settore a pagamento del pubblico per i guadagni privati

Il turismo è oggi un costo per la società e per il settore pubblico a vantaggio dei privati. Ma oggi, il tema che sta cominciando ad essere notato anche dai media mainstream è la sua versione estrema: l’overtourism.

di Eugenio Fofi

Cos’è l’ “overtourism”? Si tratta “dell’impatto del turismo su una destinazione, o parte di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepite dai cittadini e /o la qualità delle esperienze dei visitatori”. Così, almeno,  è stato definito dall’Organizzazione mondiale del turismo (agenzia del turismo delle Nazioni Unite). Questa situazione, che si ripete ogni anno, ha portato a manifestazioni e proteste, più o meno partecipate, che stanno fiorendo nelle grandi mete turistiche europee: Spagna e Portogallo davanti a tutti, ma che si ritrovano anche nella Grecia a partire dallo scorso anno.
In Grecia nel 2013 ci fu la “rivolta degli asciugamani” contro i soprusi dei balneari (che stavano occupando più di quanto concesso). In Portogallo è di quest’anno la proposta di referendum contro gli affitti delle case ai turisti. Infine la Spagna con Barcellona, Malaga e Maiorca che hanno visto manifestazioni contro il cosiddetto overtourism.

Il perché delle manifestazioni è dato dalla definizione stessa, ma che deve essere riletta da un altro punto di vista per essere compresa: “lo sfruttamento dei luoghi pubblici che il turismo offre, per il guadagno dei privati ai danni dei molti residenti”.
Spesso, in Italia, quando si parla di turismo lo si intende come “settore traino” dell’economia, si parla di indotto, di spesa e di PIL. Ma i fatti dicono altro. La produzione lorda diretta del turismo (il PIL) è intorno al 5%, circa 10 miliardi dei quasi 2mila miliardi di euro di produzione annua italiana. Non proprio un traino, anche se comunque rilevante. Per avere un
riferimento l’automotive in italia vale l’9% del PIL. [fonte Ainfa, associazione nazionale filiera industria automobilistica]
Prendiamo le strutture ricettive, come alberghi, case e b&b: si tratta di privati che spesso appaltano a multinazionali (come le piattaforme Airbnb, Booking, ecc) che pagano la maggior parte delle tasse fuori dall’Italia. In più, secondo uno studio del 2020 l’Ente bilaterale del turismo, il 30% degli arrivi non è registrato. Un'enorme fetta del mercato, circa 5 milioni di arrivi all’anno, è quindi fantasma, ma solo per le tasse non per le persone che occupano realmente lo spazio. Nel 2019 il Ministero del Turismo (governo Conte I) ideò una banca dati nazionale delle attività ricettive. Ancora non realizzata. Ad oggi siamo alla fase
sperimentale del progetto.

In Italia si dice che l’afflusso di persone in visita dovrebbe portare maggior lavoro (cosiddetto stagionale) a chi di mestiere offre servizi: dai bar/ristoranti, ai vari centri e villaggi turistici. Eppure basta fare un giro sulle piattaforme (pubbliche o private) d’incontro tra datori e lavoratori per vedere le paghe da fame offerte, che a volte non prevedono neanche contratti. Offerte di lavoro full-time, ma pagate part-time, senza giorni di riposo o che contano le mance nella retribuzione. Da qui due possibilità: o chi “vive di turismo” non paga i lavoratori a sufficienza per offrire i beni e i servizi, oppure il turismo non porta sufficienti guadagni (ma allora perché cercare lavoratori, soprattutto stagionali? ndr). Infine i luoghi del turismo. Dalle piazze ai musei alle spiagge, dalle strade ai mezzi pubblici. La parola che meglio descrive chi vive la città è: affollamento, ma anche impegno e
investimenti solo in determinate zone, aree o quartieri. Con autobus e tram che vengono comprati per il centro, con la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti che si concentra nelle zone di maggior interesse (turistico), lasciando a chi vive la città solo quel che avanza, se avanza.

I cittadini di Roma e delle altre grandi città ne sanno qualcosa. Il problema non è recente, anzi, bastava affacciarsi dal Mar Adriatico per capire cosa sarebbe successo ed elaborare un piano. È vero che sono le zone centrali e costiere delle
nostre città a soffrire di più (anche per via delle radici storiche che le nostre città possono ancora mostrare). Ma a fermare il discorso iniziato in Italia proprio nel 2019 è stata la pandemia. Dopo il primo grande lockdown del 2020, infatti, in Italia non si parlava d’altro se non di riaprire tutto per far ripartire il turismo. Con tanto di scenette assurde che vedevano i
virologi controbattere ai rappresentanti di settore. Il rinnovamento strutturale e giuridico per consentire un miglior turismo, inteso come miglioramento di tutta la città/località per tutti, residenti e non, poteva essere rimandato.
Così si è arrivati ad oggi: con Venezia a pagamento, le manifestazioni nelle piazze e lo sciopero dei balneari. Perché sì, c’è sempre anche l’altra parte che dice la sua. Può sembrare fuorviante, ma il finto sciopero dei privilegiati che non vogliono perdere i privilegi è un classico in Italia.

E solo “finto sciopero” può essere definito uno sciopero di due ore. Quando nel 2021/2022 si ricominciò a parlare della tanto criticata Direttiva Bolkestein (che prevede, nel 2006, tra le altre cose anche la ripresa dei bandi per la concessione di parte
delle coste), i primi a porsi sul piede di guerra furono proprio i cosiddetti balneari che rivendicavano l’impossibilità dei “piccoli” imprenditori del turismo costiero italiano di competere con le grandi multinazionali. Poi però sono uscite le cifre di questi fantomatici piccoli imprenditori, che allo Stato pagano di canone 115 milioni, complessivamente, ma che di contro vedono un fatturato di oltre 31 miliardi. [dati Mef]. Ossia circa 27 volte tanto (considerando un guadagno netto del 10% sul fatturato). Se si vuole un altro dato, per i singoli stabilimenti si parla di 7.6mila euro di canone medio contro i 260mila euro di fatturato.
[fonte Nomisma]

E qui si ritorna al punto iniziale ovvero i guadagni di pochi ai danni di molti. Con i residenti e i turisti meno abbienti contratti in spazi angusti delle spiagge libere, spesso lontane centinaia di metri l’una dall’altra e dagli accessi. Ora non sappiamo quali saranno le decisioni dei governi, dalle amministrazioni locali alla Commissione Europea, passando per il Governo nazionale. Ma purtroppo, se già non ci aspetteremmo un cambio di passo da un governo di centro-sinistra, figuriamoci da un governo di destra. Quello stesso governo che al Ministero del Turismo ha nominato Daniela Santanché ex-balneare, in quanto ex proprietaria dello stabilimento e locale esclusivo Twiga (in Forte dei Marmi, Toscana) e attualmente accusata per truffa aggravata ai danni dello Stato e per falso in bilancio per le sua ex-società Visibilia.

Pubblicato il: 21/07/2024 da Alessio Ramaccioni