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Roma, da 150 anni costretta in un eterno presente [intervista a Walter Tocci]

Roma, da 150 anni costretta in un eterno presente [intervista a Walter Tocci]

di Valentino De Luca

ASCOLTA L’INTERVISTA A WALTER TOCCI

Da quel 3 febbraio 1871, quando con la legge 33 fu deciso il trasferimento della Capitale da Firenze a Roma, sono passati 150 anni.

Sono stati anni in cui spesso è venuto il dubbio che l’essere la città in cui avevano sede le Istituzioni abbia nociuto più alla sua salute che fatto la sua fortuna: interi quartieri spianati in  fretta e furia per far posto ai travet piemontesi accorsi da Torino a dare forma burocratica al nuovo Stato unitario (l’Esquilino), una crescita incontrollata per un agglomerato urbano fino ad allora rimasto sostanzialmente stabile nel numero degli abitanti (la Roma fascista del milione di abitanti), il crescente fenomeno delle borgate spuntate come funghi e rimaste senza servizi, la Roma delle grandi opere incompiute ogni qualvolta toccata da un evento internazionale, la città dagli insaziabili appetiti dei magnati del mattone, versione all’amatriciana dei cumenda lombard.

Questa città ricorda un pò quei ragazzotti,  giovani sì, ma non più adolescenti cui il padre esasperato dalla permanenza prolungata a casa un giorno prende da parte per chiedere: “ma tu da grande, che vuoi fà ?

E’ difficile, per chi vi è nato, dare una risposta compiuta a questa domanda, soprattutto negli ultimi anni.
Roma ha le pile scariche e i romani sembrano averlo accettato passivamente o al massimo contrapponendo il solito cinismo che però, visto l’argomento, finisce col ferire loro stessi.
Come dice Walter Tocci, già vicesindaco durante i mandati Rutelli (1993-2001) e assessore alla mobilità del Comune, che ho intervistato per un’analisi su questi 150 anni, Roma ha vissuto di rendita: il centralismo statale, la rendita immobiliare manifestatasi nel grande consumo edilizio della campagna romana e una certa retorica del passato, che ancor oggi ci portiamo appresso nell’interpretazione stantia e obsoleta di un turismo anziano e legato essenzialmente al Colosseo e alla presenza del Papa.

Roma ha dunque perso la capacità di innovare, proporre nuovi modelli culturali, essere un polo di attrazione per investimenti e tecnologie, riuscire a ricreare nei suoi confini quella koinè nella quale ognuno contribuisce con il proprio retroterra culturale ad uno sviluppo collettivo.

Nei periodi bui, si sa, la famosa luce in fondo al tunnel potrebbe essere il faro di un treno che marcia spedito contro di noi eppure Tocci, sicuramente più positivo di me riguardo i mali che affliggono la Capitale, traccia due linee guida da seguire per uscire dall’incompiutezza: ricominciare a porre la Città su di una dimensione internazionale, cercando di sottrarla il più possibile alle pastoie che la legano ad un eterno presente senza mai la possibilità di volare alto e attuare in maniera seria una riconversione ecologica, programmando una politica green e stabilendo un rapporto armonico con il territorio circostante (ricordiamo che il Comune di Roma è il più vasto d’Italia come superficie).

A questi due obiettivi mi permetto di aggiungerne un terzo, a mio giudizio oramai non più differibile: A Roma il dibattito pubblico deve tornare ad essere terreno d’incontro tra gli intellettuali e la cittadinanza. 
Troppo a lungo, nel corso degli ultimi 15 anni circa, il racconto della Capitale è stato lasciato in mano a pessimi sceneggiatori che hanno saputo descriverla solo come la città del malaffare, delle famiglie del litorale, degli spiacciafaccende che nei palazzi del Potere facevano da mondo di mezzo con la politica nazionale.
Non dico che non esista la Roma della cocaina spacciata in pieno giorno nelle piazze delle periferie, la Roma dei pregiudicati ipertrofici sempre in cerca di una svolta per rendere meno balorda la propria giornata, la Roma del malaffare che s’incontra al ristorante e suggella osceni patti davanti ricchi piatti.

Ma Roma deve tornare essere un laboratorio sociale in cui gli intellettuali, gli urbanisti, i sociologi, chi studia il territorio ed il suo tessuto umano ritorni nelle strade, in mezzo agli abitanti, nei comitati, nei quartieri e metta in piedi quei cantieri culturali con una visione a lungo termine per gettare le fondamenta di una città felice, realizzata, finalmente divenuta adulta.

Pubblicato il: 01/05/2021 da Valentino De Luca