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“Un’elemosina per pochi”: a Roma gli spazi autogestiti aiutano la popolazione in difficoltà

“Un’elemosina per pochi”: a Roma gli spazi autogestiti aiutano la popolazione in difficoltà

di Mariano Civitico

Le negative conseguenze politiche, economiche e sociali derivate dalla pessima gestione dell’emergenza Coronavirus, si sono sviluppate in un contesto globale capitalista.

Risulta almeno paradossale, se non direttamente preoccupante, che la logica che ha portato il mondo intero a soffrire, a causa della pandemia, una crisi senza precedenti, sia la stessa che si pretende di utilizzare per risolvere i problemi da essa creati.
Un’altra volta il sistema ha palesato le sue carenze e i suoi limiti al momento di affrontare una situazione come quella attuale e, ancora, fa pagare il conto della sua logica perversa  ai più deboli, offrendogli soltanto repressione ed elemosina.

Il caso dei buoni spesa, ovvero le risorse stanziate dal governo per l’acquisto di beni alimentari e destinate a “chi è in difficoltà a causa del Covid-19”, offre un buon esempio per spiegare come il sistema (non) funzioni.

 

OLTRE A L’ELEMOSINA, LA BEFFA

Simona De Gennaro fa parte del Centro Sociale Autogestito Astra, a Roma (zona Tufello), e fa volontariato occupandosi di distribuzione alimentare. Lei un’idea sul perché i buoni spesa siano insufficienti alle esigenze dei richiedenti ce l’ha, a partire dai numeri: “Sono state inoltrate circa 160 mila domande – ci racconta – e il Comune di Roma ne ha validate soltanto 97 mila. A partire da queste, Giovanni Serra, Direttore del Dipartimento delle politiche sociali, e Veronica Mammì, l’Assessore, hanno dichiarato di aver distribuito i buoni spesa a più di 65 mila famiglie. Ma rispetto a quello che è la nostra esperienza sappiamo che questi numeri sono molto lontani dalla realtà: attualmente pare che, da indagini svolte, siano stati consegnati poco più di 20 mila buoni spesa, quindi circa un quinto di quelli annunciati”.

Un altro problema è che quello che arriva, in colpevole ritardo, sono comunque briciole: “La realtà è che invece gli importi sono molto più bassi da quanto previsto dalla norma (che prevede un massimo di 500 per nucleo familiare; ndr) e si aggirano intorno ai 100 euro per alcune famiglie di quattro componenti. Questo si aggiunge al fatto che il Comune ha già dichiarato di aver esaurito i fondi a disposizione, ovvero 22 milioni di euro. Questo significa che manderanno una mail a tutti quelli che ricevono già qualche altro tipo di contributo economico – come ad esempio il reddito di cittadinanza – per comunicare che non riceveranno i buoni spesa. Quindi oltre a dare delle cifre irrisorie alcuni non riceveranno proprio niente”.

Per Simona la vicenda dei buoni spesa non è altro che l’ennesima dimostrazione dell’incapacità dell’attuale amministrazione capitolina: “Attorno alla questione dei buoni spesa, ma anche su tutte le altre azioni che le istituzioni potevano mettere  in campo in questo momento, c’è stata proprio la dimostrazione estrema dell’inefficienza di questa amministrazione. Tanto per dirne una: si rende evidente questa incapacità a partire dal fatto che – per la consegna dei pacchi alimentari – le istituzioni si sono dovute appoggiare alle associazioni, ai movimenti, agli spazi sociali che risiedono nei diversi municipi per riuscire a coprire tutta la necessità che c’era. E questo, se da un lato è un bene perche dimostra un lavoro sinergico che poi può essere molto più capillare, dall’altro dimostra la debolezza delle istituzioni”.

 

AUTOGESTIONE E SOLIDARIETÀ

Di fronte alla ormai consuetudinaria assenza dello Stato, si interpone dunque la tradizionale presenza degli spazi autonomi e autogestiti della capitale. Con la conoscenza che Astra possiede del Municipio III, il collettivo può testimoniare come, tornando alla vicenda dei buoni spesa, “non sia stato semplice” districarsi nella burocrazia “per molte persone che non avevano non solo l’alfabetizzazione informatica, ma nemmeno gli strumenti tecnologici e culturali per poter compilare la domanda”.

“Abbiamo visto anche persone – continua Simona – che fino all’inizio della pandemia riuscivano comunque, in un modo o nell’altro, a superare la giornata. Principalmente lavoratori in nero, manovali, pittori, elettricisti, colf, badanti, tutte le donne che si occupano del lavoro di cura e garantiscono la riproduzione sociale. Erano tutte persone che lavoravano in nero con poca capacità di risparmio che, con l’inizio della pandemia, sono stati lasciati a casa senza nessuna tutela economica”.

Questa realtà va spiegata con il fallimento delle istituzioni, piuttosto che con l’incapacità dei singoli: “Si è vista un po’ la debolezza delle istituzioni perché non hanno saputo interpretare quello che è un reale problema, perché in Italia si stima che ci siano quasi quattro milioni di lavoratori in nero. Quindi stiamo parlando di una grossa fetta di popolazione che è stata lasciata non soltanto a casa dai propri datori di lavoro ma anche sostanzialmente ridotta alla fame dalle istituzioni che non hanno saputo intervenire”.

Per occupare gli spazi sempre più grossi che lo Stato lascia vuoti ci vuole organizzazione dal basso. Astra, insieme ad altre esperienze del Municipio III, prima della crisi causata dal coronavirus aveva già alle spalle l’esperienza di una cordata di solidarietà (creata in occasione dell’emergenza freddo di quest’inverno) e questo ha fatto in modo che gli spazi autogestiti non si trovassero impreparati di fronte alla pandemia. Il “Terzo a domicilio”, come hanno chiamato la cordata solidale, è riuscita così a consegnare beni alimentari a circa 400 nuclei familiari.

La nota positiva di questa situazione risulta che, ancora una volta, la solidarietà popolare si dimostra la più vicina alla realtà degli ultimi, agendo e pensando in maniera alternativa rispetto a coloro che hanno provocato (e poi non gestito) la crisi sociale venuta a galla con la pandemia. “La risposta del quartiere, della comunità e della zona – spiega ancora Simona – è stata molto grande. Perché tanta gente non ci ha soltanto detto ‘vi porto la spesa alimentare’ o ‘come posso darvi una mano?’, ma ha messo le proprie competenze, il proprio tempo, la propria voglia di fare a disposizione di tutta la comunità che in quel momento aveva bisogno. E questa è forse la cosa più interessante che abbiamo fatto, perché abbiamo intercettato non solo i bisogni di chi aveva delle necessità contingenti in quel momento ma anche la voglia di fare di chi voleva prestare di qualche modo il proprio tempo. Infatti abbiamo raccolto l’adesione di circa 300 volontari, abbiamo avuto donazioni alimentari anche piuttosto ingenti. Insomma, la risposta del territorio è stata forte, solidale e sinergica”.

Una risposta che si farà sentire pure in piazza, perché domani sabato 23 maggio, alle ore 15, ci saranno in Campidoglio i volontari e volontarie della distribuzione alimentare insieme ad alcune famiglie richiedenti per chiedere alla Giunta Raggi che fine hanno fatto i buoni spesa. Ma anche – come spiega Simona – per far capire “che la crisi sanitaria si trasformerà sicuramente non soltanto in una crisi sociale come ora ma, soprattutto, in una crisi economica e saranno necessari degli interventi della distribuzione della ricchezza ma anche degli interventi strutturali rispetto a quello che è il welfare e i servizi sociali e la tutela della sanità pubblica”.

 

Pubblicato il: 22/05/2020 da Valentino De Luca