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Il lavoro del fonico nell’era dell’AI – Intervista a Eugenio Vatta

Il lavoro del fonico nell’era dell’AI – Intervista a Eugenio Vatta

Tecnico del suono, produttore artistico e discografico, nonché musicista e docente, Eugenio Vatta è sulla scena musicale italiana e internazionale da molto tempo. La breve biografia presente sul sito del Saint Louis College of Music può dare l’idea della ricchezza e della varietà dei progetti intrapresi da Vatta nel corso della sua carriera, iniziata da giovanissimo. Ma iniziamo subito la nostra chiacchierata per aggiornarci sulle tappe più recenti del suo percorso.

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Ciao Eugenio, dalla nostra precedente intervista su Slowcult sono passati ben nove anni: è giunto il momento di aggiornare il curriculum delle tue prestigiose collaborazioni! Puoi farci qualche nome e raccontarci com’è andata?

Il mio lavoro, dopo tanti anni, si sta spostando verso la composizione, la syntologia e l’insegnamento.
Attualmente collaboro con il Saint Louis College of Music di Roma in qualità di docente per il corso di laurea magistrale in tecnico del suono e il corso di sound design.

La vera novità è il mio avvicinamento al sound design e al mixage di film. Per chi viene dalla musica il suono vuol dire abbinare suoni e ruoli mentre per il film vuol dire trasmettere emozioni sonore. Mixare bene un film ti fa entrare nei personaggi: ogni volta devi poter adeguare il materiale sonoro per dare un filo conduttore omogeneo e continuo. Per me è un lavoro artigianale in cui cerco il più possibile di non far entrare “auto mix” o miriadi di plug-in con AI. Ho missato due film per un giovane regista, Tomaso Aramini, che hanno ricevuto molti premi: “Le scarpe dimenticate” e “Pensando ad Anna”. La cosa più bella per questi film, oltre al missaggio, è stata poter realizzare in qualità di musicista la colonna sonora e il sound design.
Altra collaborazione è stata quella con Framex con cui ho missato insieme a Federico Tummolo i film “Quando corre Nuvolari” di Tonino Zangardi e “ Le memorie di Giorgio Vasari” di Luca Verdone. Con Imago ho missato “Il diritto alla felicità” e “Come ogni mattina” di Claudio Rossi Massimi. Non sono mancati cortometraggi e video sperimentali.

Un’altra esperienza importante sono stati i mix delle musiche per il programma tv “Il cantante mascherato”. In questo caso la vera sfida è missare anche sei e più brani in un solo giorno con tanti musicisti e sapersi relazionare rapidamente con i collaboratori.
Una collaborazione importante è quella nata negli ultimi anni con Pino Pintabona della Black Widow, un’etichetta di musica prog in tutte le sue accezioni. Per loro realizzo tutti i master sia per vinile che per cd e streaming. Il mio è l’ultimo passaggio che deve dare anche un’identità all’etichetta. Seguito comunque a fare master per molti artisti anche al di fuori di questa etichetta.
Tra le altre produzioni questi ultimi anni ho continuato a collaborare con Enrico Pieranunzi e Stefano Cardi realizzando progetti per la Brilliant. Con Carlo Crivelli ho registrato le musiche orchestrali per il film “Il primo Natale” di Ficarra e Picone e “Io sono tempesta” di Daniele Luchetti. Ho collaborato anche con Sergio Cammariere, Enrico Olivanti, Leonardo Mirenda, Luigi Cinque e Stefano Saletti, Dario Piccioni, Lorenzo Ditta, Elga Paoli, Nuove Tribù Zulu, Traindeville, Giuseppe Moffa, Filippo Clary, Fabiana Rosciglione e Enrico Solazzo oltre a tanti altri amici musicisti che conosco da sempre.

Ho realizzato i mix e mastering di un un progetto di musica acustica per lo più di strumenti a corda, “Vela”con Filippo di Laura e Andrea Filippucci. Con Filippucci abbiamo composto insieme un album, “Interlacement”.

Per la Glacial Movements con Andrea Benedetti abbiamo realizzato un album, “The Journey”, a nome del nostro vecchio gruppo anni 90, Frame. Ultimamente mi piace anche missare e partecipare a progetti di vecchi amici che non hanno mai smesso di amare la musica. Quello che realizziamo non ha pretese commerciali e per questo è una vera libertà.
Non mancano le produzioni indipendenti come “Flowing chords”, Francesco Sacchini, Margherita Flore e Corrado Filipputti con cui collaboro da anni e tanti altri giovani che vanno premiati per la loro bravura e la scelta di fare e produrre musica in un momento così difficile e poco remunerativo.

Ultimamente grazie a un amico storico, Alberto Fracassi, ho provato anche a fare dei video con il programma Reaper e mi sono molto appassionato. Per la musica uso miei brani realizzati utilizzando Pro Tools in maniera creativa e non fonica… spero di pubblicarli presto.

Con l’avvento dell’intelligenza artificiale il tuo lavoro – come del resto quello di tutti noi – è destinato a cambiare: cosa prevedi per il futuro?

L’intelligenza artificiale mi spaventa poco: credo che l’esperienza di tanti anni non possa essere facilmente sostituita. Mi ricordo che l’uscita delle batterie elettroniche sembrava dovesse sostituire i batteristi… e invece oggi ce ne sono sempre di più.

I synth virtuali orchestrali avrebbero dovuto soppiantare le orchestre – paura che si ebbe già con il Mellotron negli anni ’70 – e invece il suono vero ancora la fa da padrone. Negli anni ’90 iniziavano i primi programmi di arrangiamento automatico dei brani: mi ricordo “Band in a box” con cui impostavi stile, formazione e accordi e in poco tempo avevi un risultato. Il programma finì per essere usato solo da chi faceva piano bar… L’umano, fortunatamente, è insostituibile.

Sicuramente l’AI è un buon avversario da battere o da tenere come alleato. Nella fonica ci sono molti plug-in a cui dai delle direttive e il plug-in esegue il tutto. Anche io talvolta li uso ma solo per avere una prima idea di partenza – per esempio di master – da superare.
Non sono contrario a queste nuove tecnologie: penso che sia giusto saperle usare nel migliore dei modi, rendendole personali. Molti nuovi plug-in, del resto, rappresentano una evoluzione importante soprattutto nel mondo del restauro audio. Mi mettono invece un po’ paura i plug-in che, grazie all’intelligenza artificiale, riescono a separare in Stem tutti i brani. Questo procedimento lo trovo utile per la didattica ma pericoloso per le composizioni. Probabilmente prima o poi ci stuferemo della musica “impacchettata” e si ritornerà a suonare di più… come se il suonare fosse una situazione vintage.

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Sei anche impegnato come docente alla scuola di musica Saint Louis di Roma, una delle più celebri e frequentate della capitale: come ti trovi nelle vesti di insegnante? Quali sono le sorprese che ti ha riservato questa esperienza?

L’insegnamento per me non è una nuova esperienza anche se finora ho fatto corsi Europei ad hoc o corsi a breve termine per la regione Lazio. Insegnare mi è sempre piaciuto. I miei primi strumenti li ho acquistati facendo ripetizioni di matematica. Avevo 14 persone che venivano a lezione e grazie a loro ho potuto saldare il mio primo debito con la musica.
Con Stefano Mastruzzi, direttore del Saint Louis, ho realizzato un progetto con orchestra e piano solo di Amedeo Tommasi. Esperienza bellissima e ottima collaborazione. In quella occasione Mastruzzi mi ha chiesto di entrare a far parte della squadra accanto alla pluripremiata sound engineer Marti Jane Robertson. L’esperienza è stata bella, è stato importante anche il confronto con una collega così navigata!
Nell’insegnamento cerco sempre di far innamorare gli studenti del proprio lavoro. Ancora oggi, alla fine di una lavorazione, ringrazio sempre perché lavoro e so che ho fatto ciò che desideravo fare, mettendoci tutto l’impegno. Cerco di trasmettere questo e far capire che il nostro lavoro è un po’ come quello di un artigiano che conosce la tecnologia ma alla fine sa far contare l’immagine sonora che ha in testa e ha la giusta maniera di relazionarsi con chi commissiona un lavoro e con chi collabora con lui.
Con gli studenti faccio molto DE Mix: ascoltiamo brani anni ’70, ’80, ’90, 2000 e oltre, provando a tirare giù uno spartito fonico. Cerchiamo di capire quali e come sono stati registrati gli strumenti e quali erano le tecnologie di quell’epoca. Non mancano i mix che facciamo partendo da zero, in cui ognuno deve esprimere il proprio sentimento.
Grazie ai ragazzi mi sono spinto anche a seguire i reel di Instagram per trovare un linguaggio più simile al loro. Insegnare è sempre un dare e avere. Molti ragazzi si sono laureati con me e spero di continuare a seguire tanti altri progetti e lauree.

Cosa pensi della nuova generazione di musicisti e fonici? In che modo il loro “orecchio” è diverso dal nostro?

Grazie proprio all’insegnamento ho capito che i nuovi fonici e musicisti hanno spesso pilastri meno solidi di quelli che abbiamo avuto noi. Ascoltano molta musica ma ci si soffermano assai meno di noi. Per noi, ascoltare musica voleva dire comprarla o condividerla passando giornate con gli amici davanti a un giradischi… per loro è tutto a disposizione.

Noi compravamo macchine hardware molto costose e loro vivono di virtuale con i plug in, hanno strumenti più accessibili. Questo dà loro sicuramente il vantaggio di avere un panorama più vasto ma spesso le idee sono confuse. L’approccio alla musica è cambiato: molti ragazzi alla fine finiscono per lavorare nei live o nella post produzione audio-video e i musicisti a fare gli insegnanti prima di essere stati veri artisti.
Per lo più producono – infatti oggi il termine tecnico del suono è stato sostituito da producer. L’importante è che la musica sia sempre un elemento aggregante. Non sono contrario alle nuove tendenze e credo che per ogni genere ci sia il momento adatto. Molti nuovi musicisti hanno un atteggiamento aggregativo molto simile a quello che avevamo noi negli anni ’80. Lavorano in gruppo e fortunatamente il ruolo “One Man Band”, classico della musica elettronica, sta stancando. Il loro modo di avvicinarsi ai brani spesso è troppo tecnico o senza una immagine precisa del risultato finale però hanno tante vie e tante possibilità che li portano verso un diverso e nuovo risultato. Sono un po’ schiavi della tecnologia anche se iniziano a padroneggiarla. Si sta tornando ad una forma di fusion come vera e propria fusione dei generi.

Qual è il disco uscito negli ultimi anni che vorresti consigliare agli ascoltatori di Radio Città Aperta?

Con alcuni amici abbiamo preso l’abitudine di vederci la sera e a turno ascoltiamo vinili e file con un buon ascolto e una sala per ascoltare anche a un buon volume. Sono tanti i brani belli. Molto bello è stato ascoltare l’ultimo disco di Peter Gabriel, gli Xtc, David Byrne, King Crimson, David Sylvian, Pink Floyd, Quadrophenia e tanti altri – tra cui i nostri prodotti… ultima produzione in arrivo, “Calci”.
Grazie a mio figlio ho conosciuto meglio Kendrick Lamar, rapper americano che con la sua musicalità fa veramente la differenza. I suoi dischi hanno una fonica molto efficace ma anche creativa. Posso però dire che ultimamente mi è capitato di riascoltare un vecchio album di Alan Parsons Project, “The Turn of Friendly Card” (1980), e ho ammirato molto la registrazione e il missaggio… qualche lacrimuccia c’è stata.

Intervista di Ludovica Valori

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Pubblicato il: 13/01/2025 da Ludovica Valori