KRAFTWERK: 45 anni fa “The Man Machine” portava a compimento il rivoluzionario connubio tra macchine e musica rock
“We’re functioning automatic and
We are dancing mechanic”
Il 19 maggio 1978 i Kraftwerk, gruppo tedesco tra i più innovativi di sempre formatosi a Düsseldorf agli inizi degli anni Settanta, pubblicavano The Man Machine, un album di altissimo livello con cui portarono a compimento quel linguaggio elettro-pop universale iniziato con Autobahn [Parkett], fatto di suoni plastici e danzerecci allo stesso tempo, che avrebbe poi esercitato un’azione determinante su una miriade di altri generi “futuri”, dalla new wave all’hip hop alla techno, consacrandoli ad icone del panorama musicale internazionale.
Nel disco, con Hütter alla voce, alle tastiere e ai sequencer, Schneider ai synth e al Votrax, e Bartos e Flür alle drum machine, il quartetto si propose di “scrivere la canzone pop perfetta per tutte le tribù del villaggio globale”, servendosi per lo più di strumenti non tradizionali/macchinari (vocoder, synth e drum machine, appunto) e dando luogo a sonorità certamente anodine, ma anche incisive e potenti.
“L’uomo macchina è il tentativo di scoprire i parallelismi e le affinità tra l’uomo e la macchina”
- [The Man Machine] musicalmente, è il coronamento della rivoluzione operata dalle macchine sulla trentennale tradizione del rock: tanti saluti al blues, alla sacra triade “basso-chitarra-batteria”, potere ai nuovi umanoidi armati di vocoder, sintetizzatori e drum machine. (Onda Rock)
- I quattro geni di Düsseldorf hanno pensato bene di mettere in musica questa società tecnologica e mutevole portandola all’estrema e logica conseguenza: la disumanizzazione. (Sentire Ascoltare)
- In un contesto storico nel quale il progresso e la produzione industriale vengono supportati da apparecchi elettronici e macchine automatiche che sono più affidabili dell’uomo poiché precisi, privi di sentimenti e quindi più razionali, la musica dei Kraftwerk esalta l’innovazione della prossima terza rivoluzione industriale ponendo anche un monito: va bene credere nel progresso tecnologico, ma troppa automazione può essere un pericolo per la costruzione di una generazione di umani migliori. (Parkett)
- Ascoltare The Man Machine è come ascoltare il telegrafo: melodie essenziali e contromelodie ripetute all’infinito. Poi i testi, curiosamente triviali, spesso cantati con il tono monocorde di un annuncio computerizzato. Comunque, nonostante la ripetitività, le composizioni sono ultraterrene, e stranamente piacevoli. Sarà per l’audacia dei Kraftwerk, ma l’effetto complessivo è spaventoso e divertente allo stesso tempo. (Rolling Stone – 1978)
“Ya tvoy slugá”, “Sono il tuo servo”“Ya tvoi rabótnik”, “Sono il tuo lavoratore”