Lou Reed, “Metal Machine Music” e la copertina del primo numero di “Punk”
Se ci sono più di tre accordi è jazz
Oggi Lewis Allan “Lou” Reed, una delle figure più influenti della musica e della cultura artistica contemporanee, il non plus ultra dell’avanguardia rock, l’iconic punk poet per eccellenza, avrebbe compiuto 81 anni (New York, 2 marzo 1942 – Southampton, 27 ottobre 2013).
Quando Lou morì, il suo ex compagno di palco ai tempi dei Velvet Underground, John Cale, disse:
“Il mondo ha perso un superbo poeta. Io ho perso il mio compagno di scuola“.
Anche David Bowie aveva amato Lou alla follia, tanto che una volta decise di uccidere Ziggy Stardust per lui: fu a uno dei tanti festini organizzati da Iggy Pop, una sera del marzo 1973, che David lo vide e fu folgorato dalla sua rabbiosa luminosità.
Nel 1976, l’immagine disegnata di Lou Reed apparve sulla copertina del numero 1 del magazine Punk.
L’autore dell’artwork, il fumettista e scrittore underground John Holmstrom, lo rappresentò come se fosse un alieno.
In effetti, il rock’n’roll animal per antonomasia sembrava proprio una creatura venuta da altri mondi…
In verità, Holmstrom già dal 1975 bazzicava la fiorente scena del CBGB di New York con l’idea di fondare una rivista che mettesse insieme quella nuova musica di strada ancora senza nome (il punk) e la sua prima, grande passione: i fumetti.
Inizialmente Holmstrom, assieme ad altri due ragazzacci, Ged Dunn e Legs McNeil, per la storia di copertina pensò ai Dictators, che però si erano sciolti da poco.
Il suo interesse si focalizzò dunque sui Ramones, che si sarebbero dovuti esibire al CBGB il 23 novembre del 1975: solo Tommy e Johnny, però, diedero la loro disponibilità ad essere intervistati.
Caso volle, infine, che quella sera anche Lou Reed si trovasse nel mitico locale di Bowery Street.
Fu così che Reed venne intervistato, e quando Punk debuttò nel gennaio del 1976, ecco che la sua immagine disegnata apparve in copertina.
All’interno della rivista, inoltre, vi erano la sua intervista in formato fumetto e la recensione del suo album super controverso Metal Machine Music, uscito pochi mesi prima: un disco di rottura che, tra istanze noise e proto-punk, suonava abbastanza fastidioso col suo frastuono devastante, segnando così un ritorno alle sperimentazioni sonore che Reed aveva compiuto ai tempi dei Velvet Underground.
“Le mie intenzioni erano serie. Ma ero anche molto, molto fuori di testa”
disse Lou una volta a proposito di questo disco, che nelle note di copertina riportava poi le parole dello stesso songwriter autodefinentesi l’inventore dell’heavy metal.
Metal Machine Music è precursore dello sviluppo della musica industriale: ad esso si sono ispirati numerosi gruppi, primi tra tutti i Sonic Youth.
Da disco estremo qual è, ha da sempre fatto parlare di sé, e in negativo e in positivo.
Lester Bangs – al quale in un’intervista una volta Reed confessò di avere intenzionalmente piazzato nell’album citazioni di musica classica, in primis di Beethoven – sulla rivista Creem nel 1976 definì Metal Machine Music “il più grande disco mai fatto nella storia dell’orecchio umano”.
Chissà se Reed, all’epoca, lo avesse partorito davvero, come sostengono in molti, per “vendicarsi” della RCA, l’etichetta discografica con cui era sotto contratto e che lo costrinse a pubblicare un anno prima il ben più commerciale Sally Can’t Dance.
Fatto sta che, con un espediente tecnico, nel formato vinilico la musica continuerebbe a suonare all’infinito quando arriva sull’ultimo solco, a meno che non si decida di alzare la puntina.
Pubblicato il: 01/03/2023 da Skatèna