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Recensione live Jarabe De Palo alla Cavea

Recensione live Jarabe De Palo alla Cavea

Roma, Cavea Auditorium-Luglio Suona Bene, 20 luglio 2017

Scusi, chi ha fatto Palo…?

Il colpevole è sempre lui: mio fratello.
Un mese fa, circa, mi propone di accompagnarlo a vedere Jarabe De Palo, che scopro solo dopo, non essere il nome del cantante, ma di tutto il gruppo.
Sono colpevole, Vostro Onore!

Non c’entro granché né con il pop un po’ leggerino, né con una lingua che non sia l’inglese, ma mi fido ed accetto. Nei pressi della Cavea, molti accorsi parlano iberico.
Ci può stare: Roma, in questo periodo, è piena di turisti e quelli spagnoli hanno una golosa chance di godersi, in vacanza, il concerto di un loro beniamino nazionale.

Entriamo per le 20,30 e, onestamente, noto come il parterre e parte della galleria siano già pieni di gente che, questa volta, parla italiano, segno evidente che la band è più seguita di quello che pensassi.
Altra cosa che noto è la disposizione assolutamente minimal del palco. Batteria rialzata sulla sinistra di chi guarda, basso al suo fianco; di fronte, due ampli da 30 watt per chitarra, nel centro, un sax tenore ed infine sulla destra, anch’esse rialzate, due, e solo due, tastiere con altri due piccoli ampli per chitarra di fronte.
Mmmmhhh… Pochi fronzoli… Vuoi vedere che…

Mi spiego, ma ripartiamo da un po’ prima.

Questo tour di Jarabe De Palo è quello per festeggiare i 20 anni di attività della band e segue il disco ”50 Palos”, una raccolta dei migliori brani di questa lunga carriera caratterizzata da un feeling latin e intimista, distante dai suoni che sono solito ascoltare.

Sono le 21,30 e comincia lo spettacolo; la batteria di Alex Tenas scandisce il groove di “El Bosque De Palo”; un paio di battute e si aggiungono il basso di Jordi Vericat, l’organo Hammond di Jaime Burgos, il sax dell’unico non spagnolo della band: from Cuba, mr. Jimmy Jenks Jimenez.
Chiudono l’ensamble la sei corde PRS del pittoresco e anticamente coatto chitarrista David Muñoz e ovviamente la Strato e la voce di Pau Donés (quello che tutti abbiamo sempre creduto si chiamasse Jarabe).

Ma è roba rock/blues; e come suona bene…
Secca e diretta, tutta pancia e cuore.
Non male affatto!
E che risposta da parte dei fans. Mai avrei immaginato tutto questo seguito per la band home-based in Barcellona.
Quasi quasi sarei tentato di mutuare una frase dal calcio; invece di “Més Que Un Club”, “més d’una orquestra”.

Poi ancora, “En Lo Puro No Hay Futuro”, “Romeo Y Julieta (No eran de este planeta)” e “Quiero Ser Poeta”.

Quattro godibilissimi brani; tanto che comincio a non sentire la mancanza della rima “forever/together” e mi godo quella tra “labras y palabras”.

A questo punto, Pau, a nome di tutta la band, essendo l’unico a masticare un po’ di italiano, saluta il pubblico di Roma raccontando un aneddoto che, per la verità, ricorda lo Sting del film Bring On The Night.
Infatti, ci dice di come, proprio venti anni fa, invitato per un evento modaiolo proprio nella Capitale, seduto in un bar, sentì passare, per intero, tutto il loro primo disco: La Flaca.
Per lui, una consacrazione.

Si riparte con la stra-conosciuta “Depende”, ovviamente versione in italiano. Pubblico sempre più su di giri e i Palos che restituiscono l’affetto con tantissima passione.
I soli di Muñoz, Jimenez e Burgos pesano di classe e gusto musicale.
Di seguito, “Pura Sangre”, “Dejame Vivir”,”Te Miro Y Tiemblo”, “De Vuelta Y Vuelta”, fino a “Humo”.

Ma prima di “Humo”, arriva il momento per Pau di affrontare l’argomento che, nell’ultimo anno, ha monopolizzato l’attenzione dei fans.
Non è un mistero che il leader dei Palos sia appena guarito (e lo spero di tutto cuore) da un tumore al pancreas che egli stesso ha documentato con dei video, a cadenza più o meno regolare, sul suo blog personale.
Lo fa con classe e autoironia, rifuggendo dal vittimismo e dal “barbaradursismo” pomeridiano.
Ci racconta, infatti, di come i suoi insuccessi con le donne gli siano almeno valsi la possibilità di scrivere canzoni che sarebbero dovute servire a farle tornare da lui, ma senza successo. Questa volta, però, nel caso di “Humo”, la strategia ha funzionato. La donna che ama di più e che lui temeva andasse via per sempre, la vita, è caduta nel tranello ed è rimasta con lui.
Ormai, è legame indissolubile con tutta la Cavea.

Terminata “Humo”, per celebrare le tante collaborazioni tricolore di Jarabe De Palo, sale sul palco Noemi con cui la band ha inciso “Me Gusta Como Eres”.
Buona performance della nostra “ragazzaccia” del blues alla quale, tuttavia, rimprovero di non essersi sforzata di imparare il testo (in italiano), visto che si trattava di un brano soltanto.
Il suo continuo sbirciare in terra alla ricerca delle parole non è sembrato molto professionale.

Si continua con Completo Incompleto, la splendida “Agua” e “El Lado Oscuro”, sulla quale Pau ammicca al pubblico, per buona pace della security dell’Auditorium, di alzarsi dalle sedie e andare sotto il palco.
Pensate che se lo siano fatto dire due volte? Ovviamente, no.

Il concerto termina tutti in piedi. Due cavalli di battaglia: “Bonito” e “La Flaca”.
Nessuno lascia il proprio posto sotto lo stage.
E fanno bene perché c’è ancora tempo per due bis: “Como Un Pintor”, brano realizzato con i Modà, e “Grita”.
Questa volta è davvero tutto.

Un innamoramento totale; una simbiosi tra pubblico e artista.
La schiettezza della produzione musicale di Jarabe De Palo e la voglia di vita di Pau hanno vinto e hanno fatto vincere chi li stava ascoltando.

Devo ammettere che il mio scetticismo iniziale è stato preso a ceffoni dal calore che nasce soltanto da chi ama fare musica per il piacere, e lo dico senza retorica, di vedere l’emozione negli occhi di chi ti ascolta.
Bravo Pau e bravi Palos.

Chiudo con una nota personale.
Nella notte in cui una super-star internazionale decide di togliersi la vita (Chester Bennington), un’altra, forse un po’ più pequena estrella, dimostra a tutti come si possa lottare per essa con le unghie e con i denti.

Saludos!

Emanuele “DoctorHouse” Lollobrigida

Pubblicato il: 24/07/2017 da Redazione Radio Città Aperta