Richie Havens, il folk singer che nel 1969 infiammò Woodstock con “Freedom”
Sometimes I feel like a motherless child
Sometimes I feel like a motherless child
A long way from my homeFreedom
di Skatèna
Il 22 aprile 2013 ci lasciava a Jersey City, New Jersey, cantante e chitarrista afroamericano, il folk singer dalla voce aspra e terrigna che riprendeva i suoni del blues e del soul, colui che il 15 agosto del 1969, quando erano le cinque del pomeriggio, aprì le danze al festival di Woodstock con una live performance passata alla storia in quanto fu capace non solo di infiammare i cuori di chi ebbe la fortuna di assistervi, ma rimase impressa in tutta la sua forza nella memoria collettiva del popolo del rock.
Havens aveva 28 anni quando salì su quel palco, vestito con un dashiki arancione, comodi pantaloni chiari e sandali africani ai piedi: aprì il concerto quasi per caso, in sostituzione di un’altra folk band, i Sweetwater, rimasti bloccati nel traffico dovuto al caos che si era creato sulla strada che portava a Bethel.
Havens fu dunque il primo ad affrontare i cinquecentomila della platea (che probabilmente non erano ancora tutti) e a provare il brivido che trasmetteva, tanto che egli stesso definì quella sensazione un “incidente cosmico“.
Avrebbe dovuto suonare pochi pezzi, ma alla fine fu “costretto” ad esibirsi in un set di oltre due ore, intervallando suoi brani con quelli dei Beatles, e dove l’apice fu, ripetuta come un mantra, l’esecuzione di Freedom, giocata alternando le strofe improvvisate del gospel Motherless child.
Indimenticabile il suo stile, lo strumming, ovvero l’uso costante del pollice per gli accordi, e l’uso del piede in stile foot-drum.
Qui sotto, potete gustarvi il video della performance di Havens tratto dal docufilm sul festival di Woodstock 1969: ciò che colpisce di più in lui, oltre che la voce e il sudore che cola copioso sul volto, sono le mani e il piede, inquadrati ripetutamente in un montaggio che rispetta l’accelerazione che l’esecutore imponeva alle due canzoni presenti nella pellicola: “Handsome Johnny” e “Freedom”.
- Freedom, che significa libertà, fu sicuramente una delle canzoni più emblematiche di quel concerto. Una parola semplice ma allo stesso tempo potente, un’invocazione, l’urlo degli schiavi in rivolta, il lamento di un continente ancora colonizzato, la speranza degli oppressi, capace di incendiare l’animo di migliaia di giovani, urlata accompagnandosi alla chitarra di fronte alla folla oceanica in quella leggendaria tre giorni passata alla storia.
Richie veniva dal ghetto, precisamente da Bedford Stuyvesant, Brooklyn, ultimo di nove fratelli, e fu la risposta nera a Dylan e Joan Baez, incarnando perfettamente lo spirito dei sixties – la voglia di cambiamento, l’urlo antimilitarista che scuoteva dalle fondamenta gli States per poi coinvolgere il resto del pianeta – tanto che un altro suo pezzo di quegli anni, Handsome Johnny (1969), divenne un inno della controcultura contro la guerra in Vietnam.