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The Cure: 35 anni di “Disintegration”

The Cure: 35 anni di “Disintegration”

Yeah, I miss the kiss of treachery
The shameless kiss of vanity
The soft and the black and the velvety
Up tight against the side of me

Cinque anni fa, di questi tempi, si era in trepidante attesa per il Firenze Rocks, dove il 16 giugno si sarebbero poi esibiti, tra i vari artisti, anche gli inossidabili Cure celebrando il trentennale di Disintegration, un disco che va annoverato a pieno titolo tra le pietre miliari del filone dark-punk/pop.

Registrato negli Outside Studios del Berkshire e pubblicato il 2 maggio 1989 dalla Fiction Records, Disintegration è stato l’album di maggior successo della band inglese – doppio platino negli USA, 12° posto nella classifica Billboard 200.

Le atmosfere di Disintegration sono meno cupe ed oscure rispetto a quelle dei primi lavori della band, presentando un sound nettamente più pop/rock e a tratti psichedelico. Una cosa è certa: si tratta di un album più “commerciale”, intriso di romanticismo e di atmosfere sognanti, che rientra appieno nella categoria dei concept, basandosi su di una sorta di viaggio/percorso catartico che, attraversando il buio della depressione, viene affrontato per arrivare a ritrovar la ragione e, con essa (forse) la luce e la speranza.

  • Nel 1989 The Cure non era più il gruppo oscuro per (relativamente) pochi eletti dei primi tre o quattro album, era ormai una band famosa, che riempiva gli stadi, che in Italia aveva partecipato da ospite ad alcune trasmissioni televisive di successo e che poteva contare su un pubblico ampio e trasversale, che spaziava dall’appassionato di rock al fruitore del più generico pop, dal giovane gotico in lugubri gramaglie al più trendy e disimpegnato degli ascoltatori, conquistato alla causa grazie alle irresistibili melodie di singoli di successo come “In Between Days” o “Just Like Heaven”. (Onda Rock)

Da un’intervista rilasciata da Robert Smith alla rivista Rolling Stone nel 2013:

  • Com’era il tuo stato psicologico all’epoca? Prendevi molto LSD?
    Non molto, ma abbastanza. Ci sono stati tre momenti, negli anni ’80… periodi di “auto-esplorazione”, per fare un eufemismo. Volevo spingermi al limite, volevo capire quanto lontano potessi arrivare. Non è stato facile compiere 30 anni. Pensavo: “Eccoci. Questa è l’ultima possibilità che avrò nella mia vita per creare qualcosa che abbia un significato”. Guardando indietro direi che ero un personaggio piuttosto fastidioso, forse difficile, molto concentrato e testardo. Non mi interessava granché sentire cosa pensassero gli altri. A volte funziona, ed è grandioso, ma se non funziona è un modo davvero stupido di vivere. Io, comunque, ero molto sicuro di quello che volevo fare con quell’album. Kiss Me (uscito nel 1987) è stato scritto con molta più noncuranza. La band era nel sud della Francia, bevevamo grosse quantità di vino. Tutto sembrava una grande festa, con occasionali pause di sobrietà. Disintegration, invece, è stato registrato in maniera più concentrata, alla fine dell’autunno, nella campagna inglese. Era malinconico. L’atmosfera era completamente diversa. Era molto, molto cupa. Io non dicevo una parola, una situazione che con il tempo è diventata quasi divertente. Passavo appunti a Roger (O’Donnell, ndr) per dirgli cosa andava bene e cosa no, non volevo parlare. Credo che ne conservi ancora qualcuna. Suona artificioso, stupido, ma ero convinto di dover creare un’atmosfera in cui tutti comunicassero in maniera non-verbale. Si capisce che prendevo gli acidi, no? In qualche modo pensavo che scrivere, invece che parlare, sarebbe stato lo stesso, anche se ovviamente non era così. Sarebbe stato tutto più semplice se avessi usato la voce. Ma l’idea mi piaceva. Tornavo nella mia stanza e scoppiavo a ridere. Mi dicevo: “Stai diventando pazzo”. Ma nel giro di un paio di settimane tutti, credo, hanno improvvisamente realizzato quello che stava succedendo.

Se è vero che Disintegration si caratterizza soprattutto per la presenza di brani tetri, Lovesong, Pictures of You e Lullaby sono l’eccezione che conferma la regola, essendo molto orecchiabili e dal gusto popular.

Di seguito, le clip di Pictures of You, Lovesong e Lullaby:

La malinconica psichedelia dai sapori gotici di Pictures of You.

Robert Smith scrisse Lovesong come regalo di nozze per la moglie Mary Poole.

Lullaby, rappresentazione in musica degli incubi di Robert Smith (e della sua aracnofobia): una “filastrocca horror un pò artificiosa“, come è stata definita.


Pubblicato il: 02/05/2024 da Skatèna