Tiziano Ferro ha dunque posto il problema sui concerti estivi, ma il suo intervento ha scatenato una polemica social. In molti, nelle vesti di “leoni da tastiera indignados”, hanno criticato la sua seppur legittima domanda, ritenendola anzi fuori luogo data la situazione attuale dell’emergenza covid 19.
Riporto un estratto di un articolo uscito a tal proposito su Rolling Stone Italia.
[…] Perché – sostengono gli indignados – chissenefrega della musica, le cose importanti sono altre e parla bene lui dalla sua bella casa di Los Angeles.
Ebbene, quando riprenderanno i concerti vorrei vedere fuori, senza biglietto, tutti questi che si sono indignati. Vorrei vederli accanto ai no vax ai quali il vaccino contro il Covid-19 verrà somministrato rigorosamente per ultimi.
A tutti quelli che in queste ore monotone non hanno trovato di meglio da fare che lamentarsi perché un cantante si è permesso di domandare pubblicamente chiarimenti ufficiali in merito ai concerti, con l’inizio della stagione alle porte, vorrei dire che domandare è lecito. Rispondere, in una situazione come questa, più che cortesia è un dovere. E se uno di mestiere canta, è sacrosanto che chieda conto della musica. Di cos’altro, sennò?
Mi pare sacrosanto che lo chieda per sé, certamente. Ma anche per le tantissime persone che hanno comprato il biglietto e per i moltissimi che lavorano dietro ai palchi che siamo abituati a vedere pronti e perfetti, ma che pronti e perfetti lo sono grazie al lavoro di un sacco di persone.
Perché il mondo dello spettacolo non è fatto solo di gente bella, ricca e famosa e non è fatto dalla perfezione che vedete, al contrario è fatto più che altro di quello che non vedete.
Il mondo dello spettacolo è fatto da lavoratori come tutti gli altri che si fanno un grande culo. Sono professionisti dell’intrattenimento che lavorano con ritmi spesso serratissimi e senza orari. Sono tecnici delle luci e del suono, fonici, truccatori, costumisti, autori, uffici stampa, promoter, tour manager, manager. Sono persone che, al pari di un operaio in fabbrica (che però può contare sulla corazzata Cgil-Cisl-Uil), si guadagnano da vivere grazie al lavoro svolto. E allora, cosa c’è di disdicevole se un cantante famoso si fa portavoce di una domanda lecita che tocca centinaia di migliaia di persone impiegate nel settore?
Adesso che in troppi stanno sputando sull’arte, sul teatro, sul cinema, sui libri e sui concerti, è triste e amaro constatare che siamo i soliti italiani: invidiosi e opportunisti. Populisti. Troppo populisti per ammettere, al netto di inutili ipocrisie e stucchevoli buonismi, quanto l’arte sia importante, a maggior ragione adesso che ci consente di trascorrere le giornate senza sprofondare nella noia più cupa.
Non siamo più in grado di capire che l’arte non è gratis. Che qualità è sinonimo di ricerca, approfondimento, competenza di tutti quei professionisti che preparano gli spettacoli, prodotto finale di un lungo processo invisibile, ma non per questo inesistente.
Certamente, con l’arte non si mangia. Ma con l’arte si fanno tante altre cose come ballare, immaginare, cantare. Con l’arte ci si innamora, si ride, si piange.
E allora: non trattatela male l’arte. Perché il giorno in cui dovesse sparire, ci mancherebbe terribilmente.