Villa Ada incontra i Ministry: live report 1 Agosto 2018
Come ogni recensione che si rispetti, o meglio, abbassando il tiro, come ogni storia che riporti in calce la mia firma, per contestualizzare quello che si sta analizzando, occorre ripercorrere brevemente il passato (recente e non).
Un 2018 che molto probabilmente verrà ricordato come uno degli anni più difficili per le democrazie mondiali. Contro ogni aspettativa si insedia negli Stati Uniti il governo Trump dopo una lunga battaglia elettorale caratterizzata per la prima volta dall’uso massiccio di fake news e di dichiarazioni scioccanti (ahinoi italiani ben abituati a questa situazione, “educati” dal nostro “Cavaliere Nero”).
Come, d’altronde, la maggioranza dei personaggi dell’industria culturale legata allo spettacolo, anche i Ministry, che hanno da sempre sfrontatamente legato la loro musica a forti messaggi politici di opposizione al sistema capitalistico-industriale mondiale, sono ovviamente in prima fila tra i detrattori, purtroppo invano.
Viene annunciata ufficialmente per Marzo l’uscita del nuovo album in studio per la band capitanata da Al Jourgensen ed il titolo non può essere più esplicativo “AmeriKKKant” con quella tripla “K” che rimanda a scenari molto cupi della recente storia americana forse (per non dire sicuramente) ancora non totalmente sorpassati. I primi singoli che vengono rilasciati sono ancora, se vogliamo, più chiari: “Antifa”, “The Twilight Zone” e “Wargasm”.
Segue l’annuncio dell’inevitabile tour mondiale a supporto dell’album che con grande nostra gioia approderà in due date italiane: Milano e Roma.
Con un salto di alcuni mesi arriviamo al 1 Agosto in una Roma afosa che attende uno degli eventi, in ambito di musica “Heavy”, più importanti della stagione. La location è perfetta per il clima, la cornice di Villa Ada sarà sicuramente in grado di accogliere al meglio i sensi degli spettatori accorsi.
Appena arrivati già si sta esibendo la band di apertura: i Grave Pleasures, dalla Finlandia, che con il loro ultimo album “Motherblood” stanno guadagnando le attenzioni in una scena musicale, quella del nord Europa, che continua a sfornare gustose novità. Il loro è un post punk che, se ad un primo approccio può sembrare leggermente scontato e legato a sonorità prettamente anni 80, in realtà è frutto di gestazione in ambienti dark, gothic ma anche (concedetemi) progressive dei più recenti ’90 e 2000. Molto interessanti, con un album zeppo di brani “quadrati”, “lineari”, con ottimi ritornelli (anche molto radiofonici).
Peccato per l’acustica che, probabilmente figlia di un soundcheck sbrigativo (ipotizzo), non rende affatto merito alle loro raffinate, sebbene semplici, melodie che consiglio di ascoltare con più attenzione. Eseguono tutti estratti dal loro ultimo lavoro come “Joy Through Death”, “Infatuation Overkill”, “Doomsday Rainbow” e “Be my Hiroshima”, davanti ad un pubblico non molto numeroso ma che sembra sufficientemente coinvolto considerando le suddette condizioni e l’attesa, inevitabile, per una band che ha fatto la storia e, tra l’altro, che manca in Italia da tantissimo, troppo tempo.
L’iconografia dei Ministry è inconfondibile e nelle mani di Al Jourgensen è sempre stata caratterizzata da un atteggiamento irriverente, critico e dissacrante, ma al tempo stesso consapevole e scherzoso. Così per la scenografia di palco, per questo tour, sono allestiti due giganti gonfiabili raffiguranti uno strano figuro in parte gallo, in parte Trump con simbolo anti-fascista sul petto. Come sempre impertinenti e beffardi i nostri di Chicago sono in sette per l’occasione sul palco: oltre ad Al lo assistono Sin Quirin e Cesar Soto alle chitarre, Tony Campos al basso, Dj Swamp ai piatti, John Bechdel alle tastiere e Derek Abrams alla batteria (peccato per l’assenza di Joey Jordison che ha registrato l’album ma non partecipa al tour).
Iniziano con la “mantrica” “Twilight Zone” ed il suono è decisamente migliore, potente e limpido (se così lo possiamo definire) che avvolge gli astanti che sono naturalmente aumentati (sebbene non si arrivi purtroppo ad un numero che mi aspettavo) dimostrando il proprio calore e l’affezione quasi reverenziale verso una delle icone più rappresentative dell’industrial metal.
Proseguono ancora con “Victims of a Clown” sempre da Amerikkkant e dedicata a Trump e alle sue strategie comunicative, ma Al ci tiene subito a sottolineare che l’album non è solamente incentrato sulla situazione americana, le caratteristiche di questa perdita di valori e la tendenza verso ideologie totalitarie e razziste sono purtroppo sempre più presenti in tutto il mondo e vanno arginate (cita più volte il caso italiano ad esempio). È la volta ora di “Punch in the face” dal penultimo “From beer to eternity” seguita da “Senor Peligro”, “Rio Grande blood” e “Lies, lies, lies” da “Rio Grande blood” del 2013, tutte in sequenza, con una perizia tecnica affinata da decenni di palchi internazionali. La voce, sebbene camuffata da tanti effetti, è in perfetto stato, quasi non scalfita da anni di eccessi, la presenza scenica non è da meno.
Incoraggiano e coinvolgono la folla come se fossero davanti ad un pubblico di mila persone, a cui sono sempre stati abituati, e si torna al discorso di Amerikkant da cui vengono eseguiti alla perfezione “We’re Tired of it”, “Wargasm” ed “Antifa”, quando salgono sul palco un ragazzo ed una ragazza in assetto “da guerriglia” armati di bandiere con simboli di Anarchia e Antifascismo.
Il tiratissimo live continua con “Just one fix” e “NWO” dall’album “Psalm 69” (1992) e le storiche “Thieves” e “So What” da “The Mind Is a Terrible Thing to Taste” (1989). Poi si torna a Psalm 69 con l’omonimo brano con cui si chiude (virtualmente) il concerto, ovviamente c’è ancora il sempiterno “bis” rappresentato da “Bad blood” tratta dal disco “Dark Side of the Spoon” (1999).
Uno show molto intenso e invidiabile, esempio di integrità anche per tutti i ragazzi che si cimentano oggi nella musica che in taluni casi sembra aver perso l’energia generatrice di tutto ciò che continuiamo a chiamare Rock e che non è facile da uccidere, sebbene ci provino in tanti.
Si torna a casa soddisfatti e coscienti di aver assistito ad un grande evento.
Ps: Al Jourgensen dichiara che sta lavorando su nuovo materiale, quindi è da considerarsi tutt’altro che conclusa l’epopea Ministry.
Vincenzo Presutti
Pubblicato il: 03/08/2018 da Vincenzo Presutti