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Ypsigrock 2019: alla ventitreesima edizione, si conferma uno dei più interessanti festival indipendenti in Italia

Ypsigrock 2019: alla ventitreesima edizione, si conferma uno dei più interessanti festival indipendenti in Italia

di Giovanna Montalbano

Castelbuono è un paese che accoglie, ed è la prima cosa che noto al mio arrivo.
Le persone sono aperte e disponibili, sempre pronte a offrire un sorriso quando chiedi un’indicazione o un consiglio: probabilmente sarà anche merito dell’Ypsigrock Festival, che da 23 anni in Agosto per 4 giorni stravolge la fisionomia del paese e dona, ad appassionati di musica da tutto il mondo, uno spettacolo unico e indimenticabile.

Nessun musicista infatti può calcare i palchi del Festival più di una volta con lo stesso progetto musicale: questo è l’“Ypsi Once!”, la regola pensata da Gianfranco Raimondo – direttore artistico insieme a Vincenzo Barreca e Dario Di Garbo, organizzatori storici del Festival – che propone ogni anno una line up nuova e irripetibile, diversa, ricca di novità e con headliners di livello artistico assoluto. Un melting pot di generi musicali, personalità, sensibilità ed etnie differenti che si esibiscono in quattro location durante l’arco delle giornate.

In questa edizione sono arrivate circa tremila persone: un’enormità se si pensa che il paese ne conta poco meno di nove mila ed erano 27 i nomi in line up.
Per rendere possibile tutto ciò non si smette mai di lavorare durante l’anno: occorrono tempo, risorse ma soprattutto passione. Una passione che ho potuto “toccare” nei racconti di tutte le persone che si dedicano anima e corpo alla realizzazione del festival.

E’ facile incontrali, gli organizzatori, durante l’allestimento dei palchi, delle scenografie, insieme a tecnici e volontari a coordinare i lavori, montare strumentazione, assicurarsi che sia tutto sicuro e in ordine. Una grande squadra aperta a collaborazioni e partnership esterne che arricchiscono il Festival e lo rendono ancora più interessante. Quest’anno ad esempio ecco ZEESTER,  la mostra di Lupo Borgonovo al Museo Civico coordinata dalla Direttrice Laura Barreca che ha regalato agli spettatori dei concerti serali in Piazza Castello, uno straordinario spettacolo di opere di luce proiettate sulla facciata del Castello dei Ventimiglia. Oppure i workshop per bambini che dal 2016 organizza il collettivo Dischi Rotti, o ancora i talk in tarda mattinata al Giardino di Venere con numerosi ospiti e un pubblico interattivo e partecipe.

Un piccolo grande Festival che abbraccia e che si lascia abbracciare
, capace di generare momenti acuti di condivisione, che unisce e che crea ponti in un momento storico in cui è necessario abbattere i muri generati dall’odio, i limiti dell’identità e della provenienza.


L’Ypsigrock riesce nell’ardua impresa del fare, del fare davvero ed è questo di cui tutti abbiamo bisogno
. La sensibilità che ho respirato durante i concerti e le interviste, quella delicata e leggera dei Canarie che ci hanno fatto riflettere e ballare con “Penisola” al Cuzzocrea stage nella serata d’apertura al Festival, quella libera delle I’m not a Blonde che si sgancia dall’uniformità e gli dichiara guerra con le chitarre e l’elettronica e poi la freschezza dei giovanissimi Huntly che era possibile incontrare spesso nei bar della piazza centrale del paese, la potenza e l’irruenza interpretativa di Veronica Lucchesi dei La rappresentante di lista che ha trasformato il palco in un “teatro da combattimento” per sentimenti, l’energia acerba del dreampop rockeggiante dei Boy Azooga che, secondo me, live e senza fronzoli suonano decisamente meglio che su disco. Il rap sudafricano di Dope Saint June che quest’anno è al suo primo tour mondiale, l’attenzione e la cura dei Giant Rooks che sono stati ineccepibili, il post rock dublinese dei giovani Fontaine D.C, farcito di riferimenti letterari, che ci ha fatto pogare tutti (spero porti loro fortuna l’aver suonato all’Ypsig come ne ha portata a Django Django, Alt-J, The KVB e Caribou, band che hanno battuto il palco di questo festival al loro esordio), la grinta e la personalità pungente di Fenne Kuppens dei Whispering Sons, i ricordi e la disponibilità di Alberto Fortis, l’emozione generata dagli Spiritualized per chi dal 2011 li aspettava al Festival, anno in cui non riuscirono a partecipare e vennero sostituiti dai Pere Ubu.

E ancora la delicatezza con cui Rodrigo d’Erasmo e Roberto Angelini hanno maneggiato Nick Drake con “Way to blue” e l’emotività plateale di Matt Berninger dei The National che ha voluto, come sempre, scambiare energia e sensazioni col pubblico e che ci ha emozionati con “I am easy to find”. Tutto il resto ho deciso di tenerlo per me che ho riscoperto in questi giorni il mio animo giovane e ho ricordato con quanto entusiasmo mi avvicinavo alla musica da adolescente, quando ancora la musica indipendente passava attraverso canali stretti e poco capillari e il modo migliore per conoscerla era quello di condividerla con gli amici scambiando cd, informazioni e leggendo riviste che oggi quasi non esistono più.  Anni in cui fare un disco era ancora difficile e costoso e le major detenevano il monopolio del mainstream.

Il Festival è nato proprio in quegli anni lì, per me indimenticabili. Probabilmente i ragazzi che hanno inventato l’Ypsigrock non si erano resi conto –  allora – di quello che avrebbero fatto a Castelbuono e alla musica, ma non si sono fermati. Menomale.

 

Pubblicato il: 24/08/2019 da Redazione Radio Città Aperta