ROCKTROTTER del 18-03-2024 – Intervista a Loreena McKennit
SCALETTA
SIGLA: Led Zeppelin – Moby Dick
Lennon Kelly – Dam da bèi
Loreena McKennit – Wild Mountain Thyme
INTERVISTAA LOREENA MCKENNIT
intervista con loreena mckennit
Foo Fighters, HER – The Glass
Puddle of Mudd – Blurry
Linkin Park – Crawling
Linkin Park – Papercut
Queens of the Stone Age – If I had a tail
Them Crooked Vultures – No one loves me and neither do I
Intervista a Loreena McKennitt
Intervista a cura di Eleonora Tagliafico
Salve Loreena, grazie per il tempo che ha deciso di dedicarci oggi.
Iniziamo col parlare del suo nuovo album, in uscita l’8 marzo 2024 “The Road Back Home”. Qual è per lei, il significato della parola “casa”? Poiché questo album può essere considerato un ritorno alle sue origini, giusto?
Si, è stato interessante riflettere sul significato della parola “casa”. Ritengo che “casa” sia molto di più dell’edificio dove si vive, si va a dormire etc.; piuttosto rappresenta un intreccio di rituali, tradizioni e abitudini che crei insieme alle persone.
Ripensando all’inizio della mia carriera, entrai a contatto con la musica celtica per la prima volta in un folk club di Winnipeg; lì ci riunivamo la domenica sera, portavamo vinili, registrazioni, li scambiavamo, eravamo una comunità; imparavamo musica, cantavamo e via dicendo, e il tutto era davvero molto molto speciale, piuttosto insolito in realtà, perché è una tradizione che ho trovato solo in Irlanda; quindi sono rimasta affascinata dalla musica, e questa piccola comunità di persone è diventata la mia casa musicale. Quindi quando penso a questo progetto, dato che in questi anni abbiamo attraversato la storia dei Celti e abbiamo esplorato tutti questi luoghi per poi tornare a casa da questa musica, ecco, questo rappresenta proprio la sensazione di tornare a casa.
Quello è stato il suo primo incontro con la musica celtica, dunque?
Si, è stato il primo, perché dove sono cresciuta non c’era nulla di celtico, c’erano molti mennoniti tedeschi, c’era molta musica nella comunità, ma sicuramente non celtica, ma classica e religiosa.
Cosa l’ha ispirata a compiere una carriera nella musica folk e in quella celtica?
Penso che ci sia qualcosa di davvero contagioso in questa musica, da cui sicuramente molte persone nel mondo sono state colpite allo stesso modo, e non ha molto a che fare con le mie origini irlandesi e scozzesi.
La musica celtica è piena di miti, leggende, tradizioni, come integra tutto questo con la sua musica e come fa a bilanciare l’onorare la tradizione con il creare qualcosa di innovativo?
Ottima domanda! E’ interessante che tu abbia citato le tradizioni perché la musica folk è intrecciata con diversi rituali e tradizioni, “The Mummer’s Dance” ne è un ottimo esempio; le radici di tutto questo risalgono a un periodo pre-cristiano, a un formato di società in cui la gente viveva più a contatto con la natura; mi sono sintonizzata maggiormente su questo aspetto, da quando abbiamo conosciuto di più gli indigeni in Canada, che hanno passato un periodo molto difficile, come la colonizzazione; siamo in un processo, che è lento, ma è un processo, di Verità e di Riconciliazione; stiamo riacquisendo una certa familiarità con una visione del mondo molto connessa con la Natura, come lo erano i Celti, così tanto da venerare gli alberi; avevano un alfabeto basato sulle diverse specie di alberi, sapevano bene che gli alberi erano eccezionali esseri viventi su questo pianeta, certo non avrebbero potuto sapere che ci danno l’ossigeno ma lo sapevano innatamente. La vera musica tradizionale si creò prima che ci fosse la radio, la televisione o internet, le persone scrivevano di ciò che vedevano, poteva trattarsi di storia o di saghe ma anche di un bellissimo giorno di primavera.
Parlando proprio di natura, in che modi pensa che la musica possa contribuire ad accrescere la consapevolezza sui problemi dell’ambiente?
Penso che la musica sia uno dei tanti mezzi. In Canada abbiamo un fotografo, di cui ora mi sfugge il nome, che ha prodotto una serie di foto delle industrie di estrazione, provenienti da tutto il mondo; credo che la musica che ho provato a fare negli anni sia stata un andare alla ricerca di elementi nella storia che avessero una certa rilevanza contemporanea, per esempio: una delle cose che mi ha attratto verso “Bonny Portmore”, che è una canzone probabilmente vecchia oltre 150 anni, è stata che queste persone vivessero in un’epoca in cui le foreste in Irlanda venivano abbattute dagli inglesi per costruire navi che erano fondamentali per costruire l’impero, per la colonizzazione, e in questo processo, l’habitat per la vita selvaggia stesse scomparendo e ho pensato: “wow”; il fatto che qualcuno 150 anni fa commentasse dell’abbattimento degli alberi per costruire navi lo potevo capire, ma il fatto che ci fosse una sensibilità verso il fatto che la vita selvaggia avesse bisogno di questo habitat per sopravvivere, è stata sicuramente una delle cose che mi ha attratto di quel pezzo nel 1991, quando l’ho trovato. Nel 1990 avevo già viaggiato da e per l’Irlanda per circa un decennio e in quei dieci anni ho visto una lenta erosione di alcune delle prime tradizioni e abitudini che avevo visto quando ero andata per la prima volta nel 1981. Allora c’era la radio ma non tutte le case avevano la televisione, per cui la musica e lo storytelling, rappresentavano una parte molto importante del tessuto culturale che ho visto erodersi lentamente in questa decade, ed è stato proprio questo una delle ispirazioni a scrivere alla vecchia maniera; tutti i pezzi sono scritti in diverse circostanze, “Tango to Evora” per esempio, fu un pezzo che scrissi per una serie di film commissionatomi dal National Film Board of Canada sulle donne e la spiritualità, ma ogni pezzo ha le proprie radici; nel frattempo, penso di aver ricevuto degli insegnamenti, ho sempre sostenuto che la musica ha scelto me piuttosto che io la musica. Una grande parte della storia dei Celti, guardando alla sua rilevanza contemporanea, è stato un ingente esercizio di autoeducazione.
La sua musica è basata su forti tradizioni ma spesso trasporta l’ascoltatore in posti e tempi diversi. Sente che c’è uno di questi a cui si sente legata particolarmente?
Penso ad un tempo prima dell’arrivo dei mass media. Penso che i mass media abbiano iniziato a cambiarci come specie; ci sono delle cose buone ovviamente, che sia la radio, la tv o anche internet, ma non penso che abbiamo veramente capito come ci ha cambiato e distorti. Uno dei cambiamenti riguarda l’essere passati dall’essere partecipi di certe cose come la musica al diventare meri spettatori. Sono legata all’agricoltura: vivo in una fattoria, pianto il mio giardino tutti gli anni, sono molto legata alla terra, piantiamo molti alberi e così via; la metterei in questi termini, è facile romanticizzare la vita dei primi tempi che era certamente piena di difficoltà, ma ho letto un libro chiamato “Blood in the Machine”, che esamina i parallelismi tra la progressione e il progresso della tecnologia tra cui la TV, i combustibili fossili e il periodo a cavallo della Rivoluzione Industriale, comparandolo con cosa sta succedendo ora con la tecnologia, e parte dell’analisi è incentrata sul come fosse la vita prima della rivoluzione industriale, poiché anche quando le persone non erano molto benestanti, avevano ancora il controllo praticamente di gran parte della loro vita (diciamo in alcune parti dell’Europa); ovviamente vivere in uno stato feudale non è di certo una grande cosa, ci sono molti aspetti che turbano, ma le persone avevano ancora il controllo della propria vita, sapevano come nutrirsi, erano tutti collegati a piccole comunità, connessi al mondo della natura, e potevano sentire l’impatto, il beneficio e la generosità di quel mondo. Quindi per me è quando noi come specie siamo stati strappati dalla natura.
Ha esplorato diverse tradizioni musicali durante la sua carriera, ce n’è una che le piacerebbe esplorare in futuro?
Molte! Una tra quelle che ho affrontato in passato è legata al viaggio che feci anni fa in Rajasthan, India; quello fu un viaggio ricco di storie e di ispirazioni che mi piacerebbe inserire in un nuovo disco, ma sono affascinata da qualsiasi cultura che sia o meno connessa con il mondo celtico, sarebbe veramente difficile scegliere.
Le collaborazioni sono state una parte importante della sua carriera. Ci può parlare di una particolarmente significativa?
Le collaborazioni sono state tutte favolose, gli artisti che mi hanno accompagnato sono stati sempre eccezionali. Ma se potessi scegliere, se c’è un artista che ammiro dagli anni ’70, sarebbe Tom Waits.
La sua musica, oltre che per la voce eterea, è conosciuta per una vasta scelta di strumenti come l’arpa e la fisarmonica. Come li selezioni?
Ottima domanda. Ogni canzone ha una rappresentazione nella mia mente. Ci sono immagini che si sviluppano prima che vada in studio. Inizio a scegliere il linguaggio che lo strumento dovrà avere: puoi avere un violino che suona musica classica ma potresti avere lo stesso strumento che suona jigs e reels. Sono interessata al linguaggio di quello strumento e a cosa quel suono evoca, a volte evoca un luogo in particolare come la lira o il Kemence dalla Turchia e dalla Grecia, senti quel suono e sai che ti trovi a Est dell’Italia (ride), o prendiamo l’Oud e ti trovi da qualche parte nel Medio Oriente, o le cornamuse irlandesi e sei da qualche parte in Irlanda. Poi ci sono altri strumenti che indicano un periodo specifico come gli strumenti della musica barocca. Per cui scelgo uno strumento per evocare un tempo e un luogo. Quindi provo a concentrami sulla melodia, ma alla fine quando sono in studio aggiungo sempre degli strumenti qualora aggiungano qualcosa a quest’immagine che ho in mente e me lo chiedo sempre altrimenti levo lo strumento dalla composizione; è una modalità molto lunga di registrare un disco; è legato ad una visualizzazione, come un’istantanea.
The Visit and The Mask and Mirror sono considerati degli album seminali della sua discografia e ora rappresentano due diversi tour che arrivano in Europa tra Marzo e Luglio (e in Italia, ovviamente). Che cosa possiamo aspettarci da questi tour?
Prima di tutto, hanno totalmente due diverse setlist.
Per The Visit Revisited, la seconda metà del concerto è la completa registrazione di The Visit come è stato scritto, la prima metà contiene una raccolta di brani provenienti da tutto il mio repertorio.
Per il tour del 30esimo anniversario di The Mask and Mirror, faremo l’album completo dall’inizio alla fine nel secondo set, e sceglieremo un catalogo di canzoni diverse per il primo set.
Per cui se le persone vogliono e se lo possono permettere di venire, vedranno due rappresentazioni totalmente diverse; in primavera andremo in tour senza batterista ma per l’estate ne abbiamo bisogno per eseguire canzoni come “Santiago”, “Marco Polo”.
La sua musica ha una caratteristica senza tempo che attraversa diverse generazioni. Come fa a rimanere tale in un panorama musicale in perenne cambiamento?
Non so, perché la composizione delle canzoni deve soddisfare il mio animo e non ha nulla a che vedere con piani strategici o con il creare deliberatamente un’architettura particolare che resterà nel tempo; è come attingere acqua con un secchio da un pozzo, vai lì e crei queste cose ma non ci sono troppe pianificazioni accademiche o strategiche a riguardo. L’idea, quale debba essere l’essenza del pezzo, tutte le scelte creative che puoi fare sono a servizio dell’immaginario, del sentimento di quel pezzo e di conseguenza hanno una sorta di qualità senza tempo, e per questo ne sono grata. Purtroppo l’industria musicale, gran parte, non tutta, è dominata da una mentalità legata alla moda del momento, ed è un po’ una cosa usa e getta. Penso che questo abbia reso un disservizio all’importanza della musica come mezzo attraverso il quale le persone si collegano ad un livello più profondo; penso che le persone abbiano davvero bisogno della musica e non solo per ascoltarla, e questa è una delle altre cose che collegano “The Road Back Home” a “The Visit, Revisited”; durante il tour di The Visit Rivisited suoneremo “Wild Mountain Thyme”, come abbiamo fatto lo scorso autunno negli USA, e alla fine invito il pubblico a cantare il ritornello con me, è fantastico; alle persone dico: queste sono le parole, questo è come fa la canzone, se vieni al concerto e te la senti di cantare, sarebbe magnifico ascoltare la tua voce; quando l’abbiamo fatto lo scorso autunno è stato davvero commovente sentire il pubblico cantare, e questo mi riporta all’inizio, a “The Road Back Home”, a quel senso, in quel piccolo folk club a Winnipeg, Manitoba alla fine degli anni ’70 quando eri connesso con una comunità; non è una performance, non sei uno spettatore, sei un partecipante, e c’è qualcosa di davvero significativo a un livello profondo, che forse non capiamo e ci unisce, e in questo periodo, sai, poiché la musica è un linguaggio universale, sento che abbiamo bisogno di molta più musica e di suonare e cantare insieme e non di combattere.
E la figura come lei la intende di “artista” è il perché ha creato Quinlan Road (la casa discografica nda)
Si, tornando agli inizi, quando dovevo vendere il disco mi dicevano “devi avere un’etichetta”; beh, vivevo in una strada fuori Stratford, Ontario, che si chiamava Quinlan, quindi ho pensato “Esiste Abbey Road”, quindi l’ho chiamata Quinlan Road (ride).
All’epoca conoscevo a malapena il nome delle case discografiche, ma nel corso del tempo è diventato il veicolo per produrre le mie registrazioni e mantenere il controllo della mia creatività, e questo è anche il perché io non abbia un manager, non l’ho mai avuto, ho sempre gestito la mia etichetta e avuto il mio staff, mi ritrovo in cima a questa specie di ombrello come produttore esecutivo, sia che si tratti delle mie registrazioni, che dei tour, e devo assolutamente conoscere ogni aspetto; tutto ciò è fantastico perché non c’è nessun mistero, non c’è distanza o nessun gap di conoscenze tra me e gli altri, siamo un gruppo molto piccolo di persone, ci conosciamo molto molto bene, abbiamo menti simili, valori simili, e apprezziamo la mission e tutto ciò va ben oltre il denaro, l’ambizione, l’ego e la carriera, ma piuttosto siamo sulla strada per connetterci con gli altri esseri umani.