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Brutti, sporchi e cattivi: il sottoproletariato e la periferia romana degli anni ’70 nel ritratto impietoso e grottesco di Ettore Scola

Brutti, sporchi e cattivi: il sottoproletariato e la periferia romana degli anni ’70 nel ritratto impietoso e grottesco di Ettore Scola

Iside: Ma com’è tu moje? Giacinto: Comprensiva… basta menaje.

 

di Skatèna

Il 19 gennaio 2016 si spegneva a Roma Ettore Scola, grande cineasta e sceneggiatore campano (era originario di Trevico, un paesino dell’avellinese), noto soprattutto per aver diretto pellicole come C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, Una giornata particolare, La terrazza e La famiglia.
Nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa voglio rendergli omaggio proponendovi la visione di qualche spezzone tratto da Brutti, sporchi e cattivi, il suo lungometraggio del 1976 vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes, con uno straordinario Nino Manfredi nel ruolo del losco e laido Giacinto.

Al centro del film, la periferia romana dei primi anni ’70 con le sue baraccopoli, raccontate impietosamente con tutte le loro miserie, morali e materiali.

  • La lezione pasoliniana, e la sua critica visione della corruzione morale del proletariato, tracima con straordinaria e cristallina potenza dalle immagini di Brutti, sporchi e cattivi. (quinlan.it)

Trama – Nella baraccopoli oramai dismessa di Monte Ciocci, nei pressi di San Pietro, vive Giacinto con la sua numerosa famiglia/clan/tribù e tutte le sue energie sono concentrate a difendere il suo denaro – un milione di lire – dai parenti. I familiari, esasperati dal comportamento di Giacinto, decidono di farlo fuori quando questi porta a casa una prostituta e obbliga la moglie alla convivenza con la sua nuova fiamma. Purtroppo il tentativo di sbarazzarsi di Giacinto va a vuoto, dando modo al malcapitato di vendicarsi.

O-ahò, a’ndò vai? O-ahò! O-ahooò!?
O-ahò, a’ndò vai? O-ahò! O-ahooò!?
O-ahò, a’ndò vai? Oh! A’ndò vai, Oh! A’ndò vai, O-ahooò!?

Vojo annà ‘ndo me pare, pensa pe’tte!
Vojo annà ‘ndo me pare, vie’ pure te!
Vojo annà ‘ndo me pare, pensa pe’tte!
Vojo annà ‘ndo me pareee, vie’ pure teeeee!

Nun domanná! S’annamo a strafogá!
Si’vvoi veni’ s’annamo a mette’ llì!
Nun domanná! S’annamo a strafogá!
Si’vvoi veni’ te metti a sede qqui!

Armando Trovajoli ed Ettore Scola, canzone del film

Dicono del film:

  • C’era stato un tempo in cui il proletariato aveva ancora la possibilità di salire a cavalcioni di una scopa per volare oltre le brutture della Storia; quell’epoca, di brevissima durata, finì con l’arrivo del boom. Il miracolo a Milano lasciò il campo a un altro miracolo, spietatamente economico: un miracolo che parlava non di equità sociale, ma di elettrodomestici, beni di consumo. Il popolo si trasformò in consumatore, e i più corrotti furono inevitabilmente coloro che meno di chiunque altro aveva avuto la possibilità di entrare in contatto con le comodità del moderno. Pasolini lanciò più di un anatema contro questa deriva, alla quale dedicò uno dei suoi film più giustamente celebrati (Uccellacci e uccellini). Eppure le sue parole caddero nel vuoto, con il sospiro di sollievo lanciato da una non indifferente parte dell’Italia bene – compresa la classe intellettuale, sia chiaro – alla notizia del ritrovamento del suo cadavere. Scola però riprese il monito, e lo trasformò alla sua maniera in un racconto familiare, in quella sovrapposizione tra struttura famigliare e struttura sistemico-sociale che è parte fondamentale della sua poetica: non una famiglia borghese, come quella che verrà raccontata nel 1987, né un microcosmo da narrare nel corso dei decenni. Una numerosissima famiglia pugliese trapiantata a Roma, lasciata ai margini a marcire da una città che non esita a ostentare le sue bellezze e il suo Potere, come dimostra l’onnipresente Cuppolone che intercetta lo sguardo di chiunque sfidi il panorama dalla baraccopoli, si arrabatta tra le macerie. Non c’è poesia che tenga, perché non è più il tempo dei poeti. Non è più nemmanco il tempo degli sguardi caritatevoli, perché quest’umanità devastata dalla società e allo stesso tempo complice della propria degradazione non merita pietà di nessun tipo. La correttezza politica – quella che tanta parte ha purtroppo oggi nella lettura dell’arte – è materia per l’appunto per l’istituzione, non certo per l’arte. E Scola, che era stato tra i fautori del capolavoro di Dino Risi I mostri, panoramica mai così spietata e perfida delle miserie umane, attinge al grottesco: le sue immagini non hanno più legami, neanche sentimentali, con la lezione neorealista, ma semmai guardano alla letteratura di Daudet o, in forma ancora più elevata, Rabelais. (Fonte: quinlan.it)
  • Un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del “brutto”, dello “sporco” e del “cattivo”. (Alberto Moravia)
  • Il sottoproletario di Scola pare non conservare alcuna genuina dignità: il cinismo, la violenza, l’ignoranza e tutti i più spregevoli vizi, abitano gli animi dei protagonisti, tutti sporchi e cattivi, grottescamente brutti (perché non in grado di comprarsi un viso bello, a detta del regista), completamente assuefatti alla loro condizione di emarginati. Non tutti forse sanno che, lo stesso Pasolini, dopo aver letto il soggetto di Scola e Maccari, si offrì per scrivere una prefazione al film, considerandolo probabilmente meritevole rappresentante del miglior cinema neorealista tendente all’iperrealismo, in continuità con le sue opere più amate. Il poeta corsaro però, non riuscì nel suo intento: come ben sappiamo, il 2 novembre del 1975 fu assassinato e messo a tacere. (Fonte: ilbenecomune.it)
Pubblicato il: 19/01/2021 da Skatèna