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USA: l’assalto al Campidoglio è l’inizio dell’era post-americana?

USA: l’assalto al Campidoglio è l’inizio dell’era post-americana?

Tutto il mondo ha guardato attonito l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti l’ultimo sei gennaio, portato avanti da un gruppo di sostenitori del presidente uscente Donald Trump. Tanti si sono affrettati a dire che la violenza a cui abbiamo assistito non rappresenta il Paese, la più grande democrazia del mondo. Ci sono ragioni però per credere che non sia esattamente così.

14/01/2021 – di Thais Palermo Buti

USA assalto al campidoglio trump 06 gennaio

In America Latina gira questa barzelletta: “perché non c’è mai stato un golpe negli Stati Uniti? Perché negli Stati Uniti non c’è l’Ambasciata degli Stati Uniti”. Quando si parla di golpe, noi latinoamericani sappiamo il fatto nostro. Noi latinoamericani a cui è toccato vivere accanto – anzi, sotto – la più grande potenza mondiale del ventesimo secolo. La vicinanza di certo ci permette di ricevere un trattamento speciale. E così dopo essere stati invasi e colonizzati dagli europei, siamo stati invasi e colonizzati dagli statunitensi. La più grande democrazia del mondo. Non siamo gli unici. A pensarci bene, è difficile identificare un solo posto al mondo dove la politica nordamericana abbia portato qualcosa di buono. Non soldi, non assistenza tecnica, non soft power. Buono. È un’altra cosa.

È facile capire il perché. Gli Stati Uniti incarnano il mito del paradiso sulla Terra. Il mondo è l’inferno, noi siamo la salvezza. Noi – capiamoci – liberali e liberisti, meglio se bianchi, meglio se ricchi, meglio se ambiziosi. Il sogno americano, da sempre venduto come una cosa meravigliosa. Come negarlo? La capacità di adattamento e rigenerazione, di invenzione e reinvenzione, di mobilità sociale, che l’ingessata Italia se la sogna. Il sogno. Il sogno hollywoodiano, il sogno americano. Arrivi che non sei nessuno, lavori come un mulo, ti arrampichi sulla scala sociale, e giungi in cima. E cosa trovi? Anche se in cima ci fosse davvero il paradiso, ci vuole una green card. Che non è un documento, ma una filosofia di vita. Per dirla con il Marchese del Grillo: “perché io so’ io, e voi non siete un cazzo”. Gli Stati Uniti, la più grande democrazia del mondo. La patria della libertà di diventare miliardario sulla pelle degli altri.

Certo che episodi come l’assalto al Campidoglio dell’ultimo 06 gennaio fanno impressione. Fa ancora più impressione il rocambolesco processo elettorale e la relativa (non?) transizione di potere. È come se all’improvviso il soffitto che regge il gigantesco set televisivo di Truman Show ci crollasse addosso e ci rendessimo conto, con il protagonista, che tutta la sua vita era una farsa. Anche la gestione della pandemia da parte dell’amministrazione Trump fa impressione. Per molti è stata una tremenda scoperta, per tanti una conferma di quanto il sogno americano sia ristretto a certe fasce della società. Anche l’11 settembre del 2001 (perché quello del 1973, del golpe in Cile spinto dagli Stati Uniti, è relegato al dimenticatoio) ha fatto impressione. La guerra a casa nostra, noi che la guerra la facciamo dappertutto. Ma non qua. E invece ora anche qua, soprattutto qua, nel cuore della più grande democrazia del mondo.

Sull’assalto al Campidoglio si è parlato abbastanza. Nella maggior parte dei casi con un sottofondo fastidioso. C’è un rumore di fondo, nella stragrande maggioranza delle notizie che leggiamo, che è come una stonatura. Se prendiamo i grandi giornali italiani, il primo grande fastidio è quello di aver trovato per giorni una copertura così ampia, e così assente di un’analisi critica. Ma ormai siamo abituati. Allora è sempre meglio andare alla fonte.

La copertura del New York Times è notevole, ovviamente. Ma la big question è posta male: “Donald Trump è un’aberrazione o l’inizio minaccioso del declino della democrazia più importante del mondo?”. È posta male perché parte da una premessa fallace: gli Stati Uniti si ritengono, veramente, i salvatori, i paladini della democrazia, da sempre. È nel loro DNA di coloni puritani in cerca di una nazione redentrice fatta di santi. Max Weber ne sa qualcosa.

Se fatti come quello dell’ultimo sei gennaio possono succedere a Washington, con la solidità delle sue istituzioni democratiche, dicono, allora nessuno è immune. “Per amici e nemici, e attraverso trionfi e crisi, gli Stati Uniti sono stati lo standard di democrazia e libertà dalle ultime due guerre mondiali”, si legge nell’Editoriale del NY Times dell’8 gennaio. Che prosegue dicendo che i tiranni di ogni genere hanno reso un perverso omaggio al modello americano “fingendo elezioni democratiche e inventando costituzioni altisonanti che non avevano mai inteso seguire”. I tiranni di ogni genere spesso e volentieri finanziati e appoggiati dagli Stati Uniti, bisognerebbe ricordare. E senza parlare di cosa vuol dire avere una democrazia in cui le persone non possono scegliere i loro leader. Tanti nodi al pettine.

Lo shock di ritrovarsi il golpe nel giardino di casa è stato grande, ora che non ci sono terroristi da incolpare. Richard Haass, un diplomatico di lunga data e presidente del Council on Foreign Relations ha scritto un tweet emblematico, in cui indica i fatti del Campidoglio come l’inizio dell’era post-americana. “Stiamo vedendo immagini che non avrei mai immaginato avremmo visto in questo paese – in qualche altra capitale, sì, ma non qui”. Finora.

Quello che si legge sui media di mezzo mondo e si sente dalla bocca delle autorità statunitensi – a partire dal presidente eletto Joe Biden – è un disperato tentativo di ridurre quanto accaduto a un incidente di percorso, dal quale, inoltre, i Repubblicani si devono ben guardare. “Lasciatemi essere molto chiaro. Le scene di caos al Campidoglio non riflettono la vera America, non rappresentano chi siamo “, ha detto Biden. “Siamo meglio di questo”, hanno detto in tanti.

Per fortuna però c’è sempre spazio, ancorché marginale, per una sana autocritica. O una visione più aderente alla realtà. “Un attacco con la presa di ostaggi, l’arroganza del maschio bianco, le teorie della cospirazione mi sembrano molto americane”, dicono Lindsay Crouse, Adam Westbrook e Sanya Dosani in questo video sull’attacco al Campidoglio. “L’America è una nazione costruita su una terra rubata da uomini e donne rubati alla loro terra. E se la furia di mercoledì sembra storica, è perché la violenza è nel nostro DNA nazionale”.

Se oggi, a guidare gli Stati Uniti c’è un personaggio come Donald Trump, il Dottor Stranamore senza la verve di Peter Sellers, è perché gli statunitensi lo hanno scelto per quello che è, e “lo abbiamo scelto perché questo è esattamente quello che siamo”, continua il video. E tutto questo è un perfetto distillato di tutto ciò che l’America è, ed è sempre stata. Una “nazione forgiata dalla violenza razzista, che preferisce la ricchezza alla saggezza, un paese in cui le ambizioni personali valgono più della moralità, mascherato da falsa pietà, dove i cittadini devastano le stesse istituzioni che li abilitano”.

Per questo non ci facciamo illusioni. È evidente che i danni fatti da Trump sono così enormi che non si può che attendere con ansia l’inizio del governo di Biden. Ma gli Stati Uniti continueranno ad essere una nazione di guerrafondai, con scarsa preoccupazione per qualunque cosa non sia compresa nei limiti delle loro frontiere territoriali e ideologiche. La differenza questa volta potrebbe essere, se davvero l’era post-americana ha avuto inizio, che avranno meno potere di prima.

Pubblicato il: 14/01/2021 da Thais Palermo