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The Amazing Kabooto: un disco, una saga

The Amazing Kabooto: un disco, una saga

Di Matteo Giacchè

In occasione dell’uscita di “The Amazing Kabooto Saga”, abbiamo intervistato Gabbo Centofanti, bassista di questa formazione – Kabooto – che ci ha regalato un disco tutto da scoprire.

L’album, uscito il 9 giugno per la Blackcandy Produzioni, mescola funk, jazz e hip-hop in un mix coerente, scorrevole, facile da ascoltare e pieno di piacevoli sorprese. I tre musicisti e produttori hanno messo in campo tutta la loro esperienza e il loro talento, regalandoci un prodotto finale di altissimo livello e gusto musicale.

Di seguito l’intervista con Gabbo.

 

Per iniziare, parlaci un po’ della formazione.

La formazione è composta da me, Squarta – che come sai è con me in tutti i progetti musicali, dai Cor Veleno alle varie produzioni per artisti soprattutto del panorama rap, indie e non solo – e Davide Aru, una delle chitarre più fighe del pop/rock in circolazione, che ha lavorato e lavora con i grandi del pop italiano.
Devo dire che è stato bello lavorare insieme a questo progetto perché la collaborazione è stata fluida, corale, piena di idee e di divertimento.

 

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Da sinistra: Gabbo, Squarta e Davide

 

Qual è l’dea dietro al progetto? Da dove viene l’elemento giapponese?

Il progetto è partito da alcune mie idee buttate giù durante il periodo del lockdown e che riguardavano un mio progetto personale. Poi, tornato in studio, le ho proposte a Squarta e abbiamo iniziato subito a lavorarci. Abbiamo prodotto tre, quattro tracce ma sentivamo l’esigenza di una chitarra. Ma non una qualsiasi. Così abbiamo pensato subito entrambi a Davide Aru, che aveva già collaborato con noi nel disco Buona Pace (Cor Veleno), ma anche nella formazione che era stata creata per il live dedicato a David (Primo). Quindi la scelta è stata molto spontanea. Lui si è trovato a suo agio nel mood e nel sound delle prime produzioni che gli abbiamo mandato, così ho pensato fosse giusto concepire il progetto come una band, perché effettivamente eravamo in tre a lavorarci, ed è nato Kabooto.
E poi tutti e tre abbiamo una forte attrazione nei confronti della cultura giapponese, infatti quando io e Squarta abbiamo scoperto che anche Davide ne era appassionato, abbiamo naturalmente deciso di introdurre il tema. Anche se poi a livello musicale, a parte qualche ispirazione, non c’è molto. La cosa più giapponese sono i kimono che utilizziamo nelle performance, realizzati appositamente per noi da una stilista, Betty Corner (IG: betty_corner) che si occupa nello specifico proprio di kimono.
Poi c’è un podcast che abbiamo registrato, in cui abbiamo spiegato la storia di questa band, come è nata, e lo abbiamo fatto raccontando la storia dei tre fratelli Kabooto ambientata in Giappone!

 

Il nome della band invece come nasce?

Innanzitutto ci piaceva proprio a livello di suono. Abbiamo variato un po’ inserendo le due “o” al posto della “u”, il kabuto è l’elmo dei samurai. Ci piaceva la simbologia, visto che i samurai sono dei combattenti. È partito tutto dal suono ma poi ci è piaciuto anche il significato, visto che l’elmo è una della parti più importanti dell’armatura, che protegge la parte dove c’è “la ragione”.

 

Parliamo un po’ delle influenze musicali. Essendoci tu coinvolto, non mi ha stupito sentirci qualche richiamo ai Weather Report. Però ce ne sono sicuramente altri. Te ne viene in mente qualcuno in particolare?

Sicuramente mi ha e ci ha ispirato tanto il funk e l’R&B, avendone ascoltato tanto da sempre, ad esempio James Brown e Jaco (Pastorius). Tant’è che la traccia a cui penso tu ti stia riferendo è J.P. vs J.B., che significa proprio Jaco Pastorius vs James Brown. Perché comunque ci sono volutamente dei richiami a loro due. Ma in generale tutte quelle sonorità funk, hip hop e rock che ci piacciono. Poi ci sono anche alcuni intermezzi jazzistici. Un insieme di quello che ci ha formato musicalmente e ne è uscito fuori un disco funk, ma un funk moderno che strizza l’occhio all’hip hop, cosa inevitabile da parte nostra. Hahah

 

Quali sono le tracce alle quali ti senti più legato in questo disco?

Sinceramente quasi tutte. Perché è stato un disco nato dal piacere di suonare per noi stessi. Quindi analizzando brano per brano, non ci sono brani che ho preferito né altri che mi sono “antipatici”. Tant’è che inizialmente le tracce sarebbero dovute essere 7, ma ci siamo talmente divertiti che alla fine siamo arrivati a farne 9.

 

Parlando in modo specifico dell’elemento giapponese. Ci sono due brani che mi hanno ricordato di più il Giappone: “Leave the World”, che a livello estetico è quello più evocativo in tal senso, e “Makoto’s Dream”. Ci puoi dire qualcosa in più al riguardo?

Ecco, per esempio “Leave the World” è partito da una mia linea di basso al quale poi Davide ha aggiunto delle chitarre spettacolari, soprattutto quando entra nella seconda parte, che “magia” wow. Ecco questa è una caratteristica dei musicisti che hanno gusto e riescono a mettersi a disposizione del progetto, senza cedere alla voglia di mettersi in mostra a livello personale.

 

Beh, a livello estetico questa cosa è molto giapponese. Magari il brano di per sé a livello di sonorità, non ha molto di giapponese. Però il concetto che hai appena descritto sì. Infatti è il brano che mi ha ricordato di più Giappone.

Sì, ognuno ha il suo ruolo e non cerca di prevalere sull’altro. Ma ripeto, è stato tutto molto spontaneo, grazie all’armonia con cui abbiamo lavorato tutti e tre insieme, senza voler interferire con le idee degli altri, ma solo con la voglia di collaborare, affidandoci ognuno alla professionalità dell’altro. Poi ovviamente alla fine ognuno di noi ha fatto le proprie considerazioni sul prodotto finale, su quali elementi mettere in evidenza. Ma durante la realizzazione non ci sono stati intoppi. Credo che dipenda molto dal fatto che tutti e tre siamo anche produttori, oltre che musicisti, e siamo abituati a metterci a disposizione di un progetto (o di un artista), senza volerci mettere necessariamente in mostra.

A volte è meglio fare qualcosa in meno, per il bene del brano, che qualcosa in più.

 

Invece Makoto’s Dream? C’è una parte registrata in giapponese, che mi sembra essere un annuncio.

Sì, è il campionamento di un annuncio del treno veloce – lo shinkansen – che arriva alla stazione di Tokyo. Invece il titolo nasce di nuovo dal fatto che è un nome che ci piace per il suono.

 

Dove vi possiamo ascoltare?

Siamo su tutte le piattaforme digitali.
E sarebbe bello diventare la colonna sonora dei vostri splendidi momenti.

 


Photo credits: Agustin Cornejo

 

 

 

Pubblicato il: 30/06/2023 da Matteo Giacchè