La paura mangia l’anima
Visti in prima visione, la rubrica curata dal nostro esperto cinefilo Marcello Gerardi si occupa di La paura mangia l’anima, di Rainer Werner Fassbinder.
Monaco di Baviera, primi anni settanta. La vedova sessantenne Emmi, entrata per caso in un locale frequentato da immigrati, conosce il giovane marocchino Ali: i due simpatizzano, e dopo una notte passata insieme a casa di lei, stabiliscono una relazione che sfocerà in un matrimonio, fortemente avversato dai figli di lei, dalle colleghe di lavoro e dall’ambiente circostante. Tra i due emergono difficoltà, sopratutto per le differenze culturali e l’ostilità dell’ambiente sociale che li circonda. Dopo i tradimenti di lui il loro rapporto riuscirà a sopravvivere nonostante tutto, in un mesto finale, anche per il parziale cambiamento di clima intorno a loro, dovuto sopratutto ad interessi e convenzioni sociali. Uno dei film meno pessimisti di Fassbinder, premiato a Cannes, che ebbe il merito sopratutto di far conoscere il grande regista del Nuovo Cinema Tedesco. Sottile indagine dei rapporti di potere che si stabiliscono tra le persone, e nel contempo, denuncia del razzismo di cui era intrisa la società tedesca, in anni di completa rimozione del passato nazista, ispirato ai melodrammi di Douglas Sirk, cui Fassbinder resterà sempre devoto, è un film pacato e profondo, caratterizzato da un uso mirabile del colore, che vuole avere anche una valenza psicologica, ma non possiede la forza drammatica delle opere migliori del regista tedesco.
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